Gli sprechi alimentari nella cultura occidentale: un emblema di immorale bramosia

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di Alessandro D’Orazio

 

Lo spreco alimentare è senza dubbio uno dei paradossi più preoccupanti della deriva a cui la cultura occidentale del cibo è oramai giunta ed alla quale è sempre più difficile porre rimedio. Secondo alcuni studi condotti dalla FAO, infatti, ogni anno nel mondo vengono sprecati circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo di cui l’80% ancora consumabile. Di questo miliardo, 222 milioni sono le tonnellate di cibo che vengono sprecate nei Paesi industrializzati: una cifra che, da sola, sarebbe sufficiente a sfamare l’intera popolazione dell’Africa Subsahariana.

Uno spreco quindi inaccettabile soprattutto se si considera che nel nostro pianeta sono milioni le persone che patiscono la fame.

 

Solo in Europa si sprecano, in media, circa 180 kg di cibo pro-capite all’anno (l’Italia si attesta a quota 149 kg) e nonostante le difficoltà economiche attraversate dal nostro Paese fino a pochi anni fa, gli sprechi alimentari non sembrano diminuire, anzi. Tra i prodotti più dispersi a livello domestico in Italia, si trovano quelli ortofrutticoli (17%), seguiti da pesce (15%), pasta e pane (28%), uova (29%), carne (30%) e latticini (32%); questi dati, in termini di costi, generano complessivamente una perdita di circa 450 euro l’anno a famiglia. 

 

Tra le principali cause dello spreco si possono annoverare le cattive abitudini di spesa, l’inosservanza delle indicazioni poste in etichetta sulla corretta modalità di conservazione degli alimenti, le date di scadenza troppo rigide e la tendenza a servire porzioni di cibo troppo abbondanti, a cui va aggiunta la moda consumistica tutta occidentale di far leva sulle promozioni che spingono i consumatori a comprare molto più cibo del necessario.

 

A questo riguardo va detto che nonostante le sempre crescenti tecnologie riescano a limitare notevolmente gli sprechi soprattutto in fase di produzione, a nulla possono questi sforzi tecnici senza l’accompagnamento di una corretta educazione del consumatore volta a modificare comportamenti ed abitudini errati. Per questo motivo, l’unico modo per affrontare il problema è combattere lo spreco alla radice, restituendo il giusto valore non solo al cibo, ma anche a chi lo produce. Gli alimenti sprecati, infatti, non solo diventano inutili, ma anche dannosi per l’ambiente. Insieme al cibo vengono sprecati anche la terra, l’acqua e i fertilizzanti necessari per produrlo. Ridurre quindi lo spreco significa contribuire a salvaguardare anche il nostro pianeta. E di tutto ció dovremmo necessariamente prendere coscienza.

Classe 1992. Una laurea in Giurisprudenza ed una in Operatore giuridico d’impresa. Nel mezzo l’azione: paracadutista, sommozzatore e pilota d’aerei. Classicista convinto, quanto Cattolico. Appassionato di viaggi, lettura e scrittura. Un’esistenza volta alla costante ricerca delle tre idee che reggono il mondo: il Bene, la Giustizia e la Bellezza. Senza mai perdere di vista la base di ogni cosa: l’Umanità. Se fosse nato sostantivo, sarebbe stato il greco aretè e cioè, la disposizione d’animo di una persona nell’assolvere bene il proprio compito. La frase che lo descrive: “Darsi una forma, creare in se stessi un ordine e una dirittura”. Il tutto allietato da un bel dipinto di Giovanni da Fiesole.