“La letteratura è la miglior medicina per la vita. Ci ricorda quanto la vita sia solo letteratura mal riuscita, dove non si riesce mai a governare i finali”.
A Napoli da un po’ di tempo ci piace lo storytelling, che è una specie di narrazione verosimile spesso, vera mai, parziale sempre. È un modo per campare cent’anni e in buona salute, di convertire in happy end l’esito di una vicenda che rischia di profilarsi di volta in volta come sgradevole, inatteso, indigeribile. Nello specifico, ci piace pensare che Reina, folgorato da ‘o core d’e napulitani, del resto millemila volte ringraziato in tweet, incursioni nel dialetto e in azioni, chi lo nega, da uomo vero, come in un melodramma strappacuore, decide di rinunciare a sei milioni in più perché poi Napule è Napule.
Questo pensano quelli che non ci credono ma ci vogliono credere, perché, come ha detto un vincitore di un Premio napoli, a Napoli i sentimenti non si provano, si recitano.
Ora, Reina rimane. E io sono contento; le due cavolate qui sopra travestite da “find the differences” attestano la mia totemizzazione pregressa per chi, plagiato dall’universo mondo, ho definito LìderMaximo. Sono contento sul piano tecnico, perché Reina è perno metronomico e ritmico del gioco di Sarri, sono contento anche per il riverbero ambientale, giacché la squadra ne continua a riconoscerne la leadership, sono contento anche in ottica personale, perché la mia venerazione per l’uomo esce sì intaccata da questa sceneggiata evitabile, ma con malcelata ansia io proclamo la mia volontà di lasciar cicatrizzare il vulnus nei tempi più brevi.
Lato a: “addio, addio, amici addio, noi ci dobbiamo lasciare”
Lato b: “sempre insieme tu ed io senza dirci mai addio”
L’ecumenismo buonista della Disney può aiutare a dipanare in parte questa matassa tignosa e intricata. Queste qui sopra sono due canzoncine carine e rassicuranti, commoventi ed universali entrambe nella misura in cui sanciscono la separazione o l’unione eterne. Vediamo: la seconda è il dogma acritico di coloro che pensano che Reina va sotto la curva e piange perché capisce, folgorato sulla via di Damasco e da una tirata di maglietta dei due scugnizzi, che un pubblico così non può lasciarlo; solo che quel publico non fa nulla in controtendenza rispetto a quello che ha sempre esibito e manifestato nei suoi confronti: lo acclama, lo invoca, lo elegge una volta di più a capo della banda, a protettore, a simbolo, come ha fatto sempre. Sempre. Ciononostante, Reina invece va lì sotto perché deve salutare, e veniamo alla prima canzoncina. “Noi ci dobbiamo lasciare” perché lui vuole andare al PSG: Ama Napoli, ma vuole lasciarla, dopo aver detto il 4 luglio al suo allenatore e pure urbi et orbi che a quel punto, senza rinnovo, resta a scadenza. È naturalmente umano che si guardi intorno, la società sbaglia a giocare maldestramente d’azzardo ma intanto inutile negarlo, Reina ci sta dicendo che si può amare Napoli e lasciarla nei guai il 28 agosto. Chi pensa alla scelta di cuore, qua, nun è manco fesso, è proprio criaturo.
Reina non ha il pallone in mano. Verosimilmente Reina verrebbe accompagnato a piedi a Parigi dalla società, nonostante la squadra lo voglia, l’allenatore pure, ma soltanto a patto che si trovi un altro portiere. Un altro portiere, manco a dirlo, non lo si trova.
I sentimenti e l’ommità entrano in scena soltanto adesso, a bocce nuovamente ferme, a impasse conclamato. Qua Reina torna a fare l’uomo, dopo la parentesi in cui ci prova, incurante (e fa bene) de i tifosi che pensano che ‘o core suo è napulitano e boiate simili. Qua si comporta bene, recupera il profilo di leader, e non punta i piedi quando viene riportato al suo ruolo di incudine, quando viene cordialmente ma fermamente invitato al rispetto del contratto in essere. È solo qui che viene fuori il professionista degno di essere amato di maggiore amore per non essersi comportato come un Kalinic d’accatto. ma prima, è bene saperlo, aveva scelto di lasciare barca baracca e nonsocosa il 25 agosto, leggete bene, il 25 agosto, venendo meno a una parola data in regime di ommità.
Gli vogliamo bene lo stesso, LìderMaximo in eterno, certi, tra l’altro, che per guadagnarsi tra un anno il contrattone dovrà fare una stagione da mito, dunque stiamo coperti. E allora ripetiamolo: mica non entrano i sentimenti in questa storia. Ma ci entrano a cose fatte, ci entrano dopo, quando Reina rimane perché non ci sono i tempi tecnici. Salmodiamolo come un’orazione: non ci sono i tempi tecnici. Se noi pensiamo a Reina (che a napoli sta da re, intendiamoci) che davanti a Insigne e Mertens sente l’ovazione e dice: “noooo, nun ve pozzo lassa’”, Se noi pensiamo a Hamsik che negli spogliatoi gli dice: “e ja, ‘o pe’, senza ‘e te nun putimmo campa’”, allora l’ errore prospettico è più ingenuo che grave. Il cuore viene prima del danaro, a volte, ma non viene mai prima di sei milioni di euro. Non nego, però, che chi se lo ammocca campa un poco da napoletano oleografico, ma per cent’anni e senza manco un raffreddore, viato a isso.
Insomma, Reina se ne voleva andare. In assoluto, con ragione (contratto della vita, psg etc etc), come tempistica in maniera pessima. Poi che sia legato ai compagni alla città eccetera nessun dubbio; ma rimane ESCLUSIVAMENTE perché la società lo dichiara incedibile causa tempi troppo stretti per arrivare a Rulli. Tutto qua, secondo me. Più che un ripensamento di core pizza e mandolino, una presa d’atto lucida – il tipo è scaltro, è puttana vecchia – di quanto fosse difficile andar via il 25 agosto, cosa che desiderava ardentemente come proprio le lacrime – ciao, devo proprio salutarvi – dimostrano.
La bella fiaba del cuore l’ho raccontata una volta in un asilo e pure i bimbi mi risero appresso.
Nessun dubbio, peraltro, che da ora in avanti la sua stagione sarà da professionista come sempre. Rimane la sceneggiata, ce ne dimenticheremo. E dimenticheremo la mozione degli affetti (erano cinque anni che non mi riconoscevo in un pezzo del Napolista, roba da congiunzioni astrali: “Dovremmo berci che il Psg ha rinunciato alla sua offerta di fronte alla forza dell’amore. Il Paris Saint-Germain. La domanda è: perché dobbiamo recitare il ruolo dei coglioni? Per quale motivo? Non ci eravamo ritagliati il ruolo di furbi nella storia? E invece pare che adesso siamo i signor Deciocavallo. Ci stanno vendendo la fontana di Trevi e dobbiamo far finta di emozionarci. Più banalmente, Reina ha un anno di contratto col Napoli e lo rispetterà. Perché non ha altra scelta. Il pallino non era in mano sua”.
Forse non è proprio così drastica, forse poteva puntare i piedi, nel calcio capita, e in questo, lo ripeto, l’uomo Reina dopo la rovinosa caduta, torna nel Walhalla. In fondo, è dei fuoriclasse.
La pietra tombale, quella che non ti aspetti, è l’instapost di Donna Yolanda, che conferisce a tutta la vicenda lo stigma della telenovela sudamericana nelle sue forme autoparodiche più riuscite, una spanna oltre Bella Figheira, immortalata tanti lustri fa dal mito di una inarrivabile Anna Marchesini. Davvero, ” Anche i ricchi piangono” ma si sa, affinale ci stanno le ragioni del cuore.
“È difficile avere una convinzione precisa quando si parla delle ragioni del cuore, sostiene Pereira.”