di Elio Goka
L’avevo sognata così. In anticipo sulla commozione e con le strade già tracciate in questi anni di sconforto e di speranza. L’avevo immaginata tra i vicoli e i luoghi che ho percorso in queste notti senza sonno.
Chi è stato con con me e chi ho incontrato mi hanno onorato con la sensibilità e la comprensione di chi ti intende pure senza parlare. Sono stato con chi c’è e chi non c’è più. Prima di tutto con chi non c’è più.
E un Amico che ieri si è incantato con tanto garbo e delicatezza davanti alla tenerezza della festa, ha avuto la pazienza di accompagnarmi alle prime ore del mattino sotto la casa che fu del Maestro. A sventolare la bandiera. La sua bandiera. Quella che mi sono portato dentro in queste settimane e in una vita intera.
Voi lo sapete qual è l’unica festa che conta veramente? È quando la tua intimità finisce in mezzo a quella degli altri senza provarne disagio. Avreste dovuto sentirlo il suono della stoffa sotto questo balcone. Un’aria millenaria ha cantato per me e per tutto quello che mi brillava alle spalle. Quale privilegio mi è toccato nell’inquieto dubbio se io ne sia degno.
Grazie Maestro. Grazie Napoli