di Mariavittoria Picone
Non so scrivere di calcio e da me nessuno se lo aspetta, quindi potrei evitare. Del resto, in questi giorni, si è già detto tutto sui meriti sportivi della squadra di Spalletti, sulle qualità atletiche di Osimhen, sulla tenacia di Kvaratskhelia, sulla laboriosità di Kim, sull’entusiasmo di Politano, la passionalità di Di Lorenzo, sull’estro di Lozano e Simeone, e su tutti gli altri che mi dispiace non citare, perché meritano riconoscenza, ma ometterò per evitare aggettivi inappropriati, non sufficientemente generosi.
È stato detto tantissimo su Napoli e sui napoletani, come sempre. Freud diceva che “Gli scrittori hanno l’obbligo di produrre piacere intellettuale ed estetico, nonché certi effetti emotivi. Appunto per questo essi non possono riprodurre immutata la realtà, ma devono isolarne alcune parti…”, il concetto andrebbe esteso anche ai fotografi e a chiunque contribuisca a costruire la memoria. Siamo sommersi da parole, ma anche da immagini e il troppismo conduce inevitabilmente alla noia.
Ci si stanca di tutto, della bellezza, e anche della bruttezza, la seconda, però, ha un vantaggio sulla prima, perché col tempo può solo migliorare ed essere accettata per abitudine. Non scriverò, quindi, neanche dell’aspetto malinconico o trash dell’evento, come banalmente ha fatto qualcuno, o di qualsiasi lato oscuro della festa.
C’è chi dice che Napoli è anarchica, che la si può definire un sentimento, chi la odia e chi la ama, perché Napoli è troppo di tutto, ma non annoia mai.
Napoli è una dipendenza, dal momento in cui ne assaggi un po’, non puoi più farne a meno, non smetti di parlarne, di scriverne, di fotografarla, di raccontarla.
Una volta ho scritto che “Napoli è quel che siamo nel momento in cui ne parliamo, perché offre una strada diversa per ciascuno, un cielo che cambia ad ogni stagione della vita”. Così Napoli diventa una specie di specchio, sincero e impietoso, per questo chi la rifugge scappa da se stesso.
La vittoria della squadra del Napoli è inevitabilmente la vittoria di Napoli, che mantiene ancora una forte identità, che niente e nessuno riesce a scalfire. “Un napoletano non è mai un estraneo per un altro napoletano” ha scritto qualcuno, ed è questa una delle espressioni che rende meglio il senso di appartenenza e di difesa del mio popolo.
La porosità di Napoli la rende accogliente ed empatica, crea buchi neri, che trattengono il male, come un’ulcera. Chi comprende quest’anima entra a farne parte.
Una città che parla alla morte con sfrontatezza, che la sbeffeggia con provocatoria ironia, che onora la vita. Un mare di contraddizioni, dove l’esistenzialismo si scontra quotidianamente con un apparente nichilismo, dove tutto è per sempre. Guardatela la città lussuriosa e godetene tutti.
Come ho scritto dopo l’ennesima passeggiata terapeutica, tra le strade del centro: Napoli è il luogo in cui il peccato incontra l’indulgenza, è un corpo mistico.