Nemmeno il tifoso più pessimista poteva prevedere il malinconico epilogo di questa sessione di mercato invernale. La Ssc Napoli è stata incapace di garantire a Sarri i rinforzi che aveva richiesto. Il tecnico toscano era stato chiaro: se restiamo così, difficile pretendere lo scudetto.
Ergo, nessuno si sarebbe immaginato queste cronache grottesche di accordi saltati all’ultimo momento, giocatori spariti nel nulla, nonni ammalati (come a scuola quando si voleva saltare l’interrogazione o il compito in classe), interferenze reali o presunte della Juventus.
La verità è che quello a cui si è assistito in quest’assurdo mese di gennaio è la semplice riproposizione di altre sessioni di mercato con una significativa variazione sul tema: prima gli incassi della Champions erano sufficienti per rinforzare la squadra, ora si acquista solo se prima si vende un pezzo pregiato. E anche questo è vero solo in parte se si pensa che il Napoli non ha più un centravanti dopo la dolorosa cessione di Higuain (al di là dell’infortunio di Milik che non è paragonabile per tecnica a chi lo ha preceduto).
Allora, dovrebbe esser chiaro anche ai più recalcitranti o ai più ostinati sostenitori della Ssc Napoli (ma non del Napoli) che la società ha toppato clamorosamente proprio nel momento in cui c’era da lanciare un duplice segnale: all’esterno e all’interno. Mai come in questo momento, la squadra di Sarri rappresenta una grave minaccia per l’establishment calcistico nazionale che, ogni domenica, schiuma rabbia e insinua sospetti negli stucchevoli salottini serali. Ecco perché bisognava blindare la posizione in classifica e alimentare questo sogno rivoluzionario rinforzando la rosa.
Così come era un imperativo categorico, venire incontro alle legittime richieste di Sarri e rassicurare lo spogliatoio sugli obiettivi della proprietà.
Evidentemente, però, De Laurentiis non è sulla stessa lunghezza d’onda del suo allenatore e della sua squadra. I secondi stanno andando oltre i propri limiti per raggiungere un obiettivo che manca da quasi trent’anni, il primo continua nella sua gestione oculata che forse sarebbe stata d’ispirazione per una commedia di Molière.
Ma, d’altronde, De Laurentiis, negli anni, ha cambiato pelle. Non è più quello che sapeva solleticare l’immaginario dei tifosi con acquisti mirabolanti. Ora dirige senza più investire, è diventato un freddo ragioniere. E con lui una parte della stampa e dei tifosi che si interessano più ai bilanci che al gioco, guardano le partite con la calcolatrice tra le mani, esultano maggiormente per le plusvalenze realizzate che per le vittorie, accettano di buon grado l’austerity e s’accontentano di partecipare senza mai vincere. Nemmeno quando l’obiettivo è possibile, così vicino. Insomma, qualcosa di mai visto né sentito che rinnega quell’immagine romantica del calcio cara a Borges e a tanti scrittori sudamericani.
De Laurentiis, anche a livello politico, non è più quello che scappa in motorino ribellandosi al sistema. Ora, si allea con Lotito, appoggia prima l’impresentabile Tavecchio e poi il suo vice Sibilia, salvo poi confidare a Marotta (Marotta!) che a lui sta bene anche il commissario. Altro che compromesso storico, siamo a metà tra le convergenze parallele e il peggior trasformismo democristiano.
Per cui, stamattina, leggere post e commenti, che ancora difendono l’indifendibile o vogliono fornire un alibi a questa disastrosa campagna (non) acquisti, farebbe trasalire perfino Voltaire e vacillare le sue teorie sulla tolleranza.
Sì, perché tutte le opinioni sono legittime e ben accette purché non vadano a sbattere ignominiosamente contro la verità dei fatti.
Per il resto ha pienamente ragione Antonio Corbo: l’eventuale vittoria potrà essere intestata all’allenatore, alla squadra e ai tifosi (almeno alcuni di loro). La sconfitta, invece, può già essere assegnata, ancor prima che si concluda la stagione.