di Rosario Pesce
La democrazia nasce e si sostanzia del ruolo dei partiti, visto che non può esistere alcuna forma istituzionale democratica senza i cosiddetti corpi intermedi, fra cui appunto i partiti che svolgono una preziosa mediazione fra la pubblica opinione e le istituzioni.
In Italia, nel corso degli ultimi decenni i partiti hanno subito una trasformazione molto netta, per cui si è passati da un loro ruolo elefantiaco prima di Tangentopoli ad una riduzione progressiva della presenza effettiva degli stessi nella società, a tal punto che, oggi, non rimane in piedi nessuna organizzazione nata nel secolo scorso e quelli presenti sono partiti “leggeri”, con un radicamento popolare molto superficiale e transeunte, ridotti molte volte a meri comitati elettorali, destinati a durare l’arco di una campagna di voto.
Una simile trasformazione ha giovato o meno alla nostra democrazia?
Quelli, spazzati via da Tangentopoli, erano partiti potentissimi, con macchine burocratiche imponenti ed alla ricerca di finanziamenti di ogni tipo per poter reggere alla competizione con gli avversari: non fu, certo, un caso se il reato di finanziamento illecito ai partiti fu quello che ha determinato l’estinzione dei partiti nati dalle battaglie per la democrazia condotte a cavallo fra Ottocento e Novecento.
Nonostante un simile vizio, quei partiti ebbero meriti importanti: non solo sono stati – appunto – un baluardo per le battaglie democratiche nel corso del XX secolo, ma hanno consentito la crescita di diverse generazioni di classi dirigenti, che hanno portato l’Italia ad essere un Paese rispettato all’interno del consesso internazionale.
Le espressioni partitiche di oggi, invece, risentono molto degli orientamenti molto fluttuanti di una pubblica opinione che modifica i propri umori in modo rapidissimo e che crede sempre meno in chi ricopre incarichi pubblici, per cui i partiti odierni non sono più fucine di ceto dirigente, visto che lo stesso proviene, sovente, da altri ambienti – professionali, accademici e produttivi – e viene selezionato con il metodo della cooptazione.
Naturalmente, un simile processo non può che indebolire la democrazia rappresentativa ed aprire un varco verso la democrazia diretta, visto che il cittadino medio mostra maggiore interesse nell’indicare un leader piuttosto che nel partecipare ad un processo di costruzione di un gruppo di competenze intorno a questo.
E, così, i consensi si spostano da una parte ad un’altra come mai si era visto prima e, molto spesso, chi non si identifica in una simile dinamica preferisce astenersi dalla partecipazione democratica, piuttosto che prendere parte ad un processo che si consuma molto più nelle piazze mediatiche via Internet che in quelle reali.
È, questo, un segno di evoluzione o di involuzione della nostra democrazia?
Certo è che lo stesso pensiero politico non è stato in grado di coniare nuove categorie rispetto a quelle tradizionali dei secoli scorsi, a dimostrazione del fatto che la Crociata contro i partiti della Prima Repubblica, se per un verso ha contribuito a fare chiarezza su comportamenti sbagliati nelle giuste sedi giurisdizionali, per altro ha reso monco un organismo complesso che aveva trovato, con molti difetti, un equilibrio che ora non c’è più.