di Eva Fasano
Cara IKEA, manca meno di un mese al Natale e hai distrutto i sogni degli adulti che vedevano in te la possibilità di un mondo diverso, fatto di mobili essenziali a un prezzo accessibile, case accoglienti, famiglie multirazziali e genitori che dividono equamente i compiti domestici, ma soprattutto hai distrutto il sogno più importante, quello di un’azienda che si autodefinisce attiva socialmente, per le famiglie e l’ecologia, in cui i lavoratori sono trattati secondo criteri umani, oltre che sindacali.
Abituati al famoso brand che propone uno stile di vita svedese, pratico e funzionale, la storia del licenziamento della madre single dello store Ikea di Corsico, Milano, ci è caduta addosso come una gigante palla di neve inaspettata. Marica Ricutti, 39 anni, madre single di due bambini, di cui uno disabile, è stata licenziata in tronco per giusta causa, nonostante abbia lavorato per 17 anni presso l’azienda senza mai ricevere alcun richiamo.
Tra il 2016 e il 2017, a Marica viene proposto di lavorare presso l’area ristorante, ma prima di accettare, fa presente che non può essere disponibile per il turno delle ore 7 poiché abita a 40 km da Corsico, deve accompagnare i bambini a scuola e soprattutto il martedì deve portare suo figlio di 5 anni a fare terapia psicomotoria, motivo per cui può usufruire della legge 104/92, si offre invece di lavorare per il turno di chiusura, che le costerebbe il rientro a casa a tarda ora, e il fine settimana, quando i bambini sono con il padre. Marica accetta lo spostamento poiché l’azienda la rassicura verbalmente che le sarebbe venuta incontro, finché il 3 ottobre le viene recapitata una lettera di contestazione. All’ufficio risorse umane, racconta Marica, fanno da scaricabarile, l’azienda si chiude in se stessa, nonostante le sollecitazioni del sindacato CGIL che sostiene la donna e il 21 novembre Marica Ricutti riceve lettera di licenziamento.
Mentre scrivo, mi arrivano testimonianze di impiegati Ikea di altre parti d’Italia che descrivono una situazione lavorativa tossica, molto simile alla vicenda di Marica, tutt’altro che conforme ai valori di cui si fregia l’azienda sul suo sito internet: “Da molti anni facciamo un uso attento delle risorse e contribuiamo a creare una vita quotidiana migliore per la maggioranza delle persone. Questo significa anche vivere in modo più sostenibile”, così faccio una ricerca e scopro che l’azienda svedese ha una lunga storia di comportamenti antisindacali in varie parti del mondo e tutt’altro che “family oriented”. Dipendenti Ikea in Canada, Gran Bretagna, Francia, Turchia, Usa, hanno scioperato contro l’azienda sempre per gli stessi motivi, condizioni di lavoro, salari, licenziamenti, in rete è disponibile persino un report dettagliato intitolato “How Ikea hurts families”, redatto da UNI Global Union, organizzazione sindacale che rappresenta oltre 20 milioni di lavoratori e 900 sindacati nazionali di vari settori.
Mentre Ikea fa sapere con un breve comunicato che prima di pronunciarsi vuole approfondire la vicenda, i colleghi di Marica Ricutti le si stringono attorno e indicono uno sciopero di due ore. “Alla faccia del welfare svedese, dice Marco Beretta della Filcams Cgil di Milano. In questi anni Ikea ha cambiato pelle e questo episodio è un chiaro messaggio rivolto ai lavoratori. Vogliono far capire a tutti che decidono loro e, a prescindere dai problemi che può avere ognuno, o accettano o sono fuori”.
Cara Ikea, ci hai promesso un mondo migliore, famiglie unite e lavoratori felici, rispetta i patti o non avrai un bianco Natale, perché molti dei tuoi affezionati clienti minacciano il boicottaggio.