di Andrea Carpentieri
Tanti sostantivi sono stati usati per definire il risultato del Partito Democratico alle ultime politiche, risultato incontestabilmente negativo: si è parlato di catastrofe, tracollo, tsunami, apocalisse, disfatta. Ferma la consapevolezza della sconfitta inappellabile subita dal Partito in cui milito, ritengo si possa fornire un’interpretazione diversa, “altra”, del 18%: la parola chiave per me è nonostante.
Sapevamo tutti che il “vento elettorale” avrebbe spirato alle spalle della nave del M5s e di quella della coalizione di centrodestra. Chi, come me, ha chiesto il voto per i candidati del PD, ha ascoltato una risposta ricorrente, martellante: «Voto Cinquestelle: cambiamo, proviamoli, vediamo cosa sanno fare». Nonostante il vento a sfavore, il PD è arrivato al 18%.
Negli ultimi anni, con un errore di impostazione a mio avviso marchiano (traslare nel campo del centrosinistra una concezione berlusconiana della politica e dei partiti), il PD è stato percepito come il partito di Renzi: Renzi è stato visto come il garante degli interessi delle banche, è stato ritenuto l’artefice della cosiddetta “buona scuola”, un impegno notevole di risorse ed energie che però ha prodotto solo dissenso, è stato legittimamente accusato di non aver mantenuto la parola data prima del referendum del 2106 e, quindi, di non essersi ritirato dalla scena politica… Renzi ha commesso errori, sebbene meno numerosi di quanto si dica. Nonostante Renzi, il PD è arrivato al 18%.
In ossequio a quella pulsione autodistruttiva che è forse, da sempre, il tratto genetico più marcato della sinistra italiana, ad un tratto Bersani, D’Alema, Grasso & co. hanno pensato bene di portar via il pallone ed abbandonare il campo nel quale stavano giocando: è nata, così, la proposta di Liberi e Uguali. LeU non ha eroso un consenso particolarmente significativo in termini numerici, ma ha contribuito alla narrazione di un partito in difficoltà, guidato da un leader incapace di tenerne uniti i pezzi e fuse le anime. LeU ha fatto danni, insomma, in termini di immagine e percezione del PD, più che in termini di voti: sia come sia, danni ne ha fatti. Nonostante LeU, il PD è arrivato al 18%
A poche settimane dal voto, l’inchiesta di FanPage, con il coinvolgimento di Roberto De Luca, ha contribuito a delegittimare l’immagine del PD, anche a prescindere da responsabilità che la magistratura dovesse accertare: il fatto che un ex camorrista arrivi a parlare con il figlio del Governatore è grave ed inaccettabile di per sé, il resto può solo peggiorare la situazione. Nonostante le cose gravissime emerse grazie a FanPage, il PD è arrivato al 18%
Da anni il PD dà di sé l’immagine di un ceto politico autoreferenziale, incapace di rispondere ai bisogni delle persone, e questo in politica è l’errore degli errori. Il PD, in questi anni di governo, ha realizzato cose buone, ma delle due l’una: o queste cose non sono state sufficienti a far pensare agli italiani che il PD meritasse fiducia, o quel che di buono si è fatto non è stato comunicato con sufficiente chiarezza (ad esempio, tutti conoscono gli aspetti negativi della cd. “buona scuola”: quanti sanno che il governo a guida PD ha investito dieci miliardi di euro nell’ambito dell’edilizia scolastica?). Nell’un caso o nell’altro, questo è un errore. Il PD ha giustamente riannodato i fili di un dialogo con il mondo delle imprese che sarebbe anacronistico lasciare alle destre; ciò però non avrebbe dovuto portare a perdere di vista il rapporto con il mondo dei lavoratori. Il PD lo ha fatto, e questo è un errore. Potrei andare avanti con la lista degli errori, mi fermo qui. Nonostante i propri errori, direi nonostante se stesso, il PD è arrivato al 18%.
Il bicchiere, dopo le elezioni, sembrava meno che mezzo vuoto, sembrava che di acqua quasi non ce ne fosse: eppure, forse, la situazione può essere letta con lucida consapevolezza ma senza cieca disperazione, forse su quel poco d’acqua rimasta non c’è il nulla ma l’aria, che è pur sempre qualcosa. È andata male, però non è finito nulla. Il 18%, i milioni di voti passati dal PD al M5s più per delusione che per sincera convinzione devono dire al popolo del PD che in Italia c’è ancora voglia di una forza di massa che sia moderata ma guardi con decisione a sinistra, che argini le pulsioni populiste, demagogiche, fascio-leghiste. Si riattivi, da ieri, non da domani, una connessione virtuosa con i territori, da non considerare più come la pista d’atterraggio per ex ministri da paracadutare a Roma, bensì come il terreno nel quale gettare, attraverso l’impegno quotidiano svolto in primis nei contesti locali, il seme di una rinascita.
Io non credo che gli italiani abbiano definitivamente chiuso la porta in faccia ai valori che il PD incarna e rappresenta: gli italiani hanno sbattuto la porta in faccia a chi, a loro giudizio, quei valori li ha traditi, e la cosa è diversa. Si ricostruisca il rapporto con gli italiani, già a partire dalla prima sfida alla quale è chiamato il PD, quella dell’eventuale sostegno da dare alla formazione di un governo a guida M5s (personalmente non prendo neanche in considerazione l’ipotesi di un accordo con i leghisti e i piccoli balilla).
La classe dirigente esca finalmente dal chiuso delle proprie stanze, consulti la base nella maniera più trasparente possibile, chieda ai tesserati cosa vogliono per il futuro più immediato del Partito e dell’Italia, magari attraverso una consultazione di massa, qualcosa di simile alle primarie. Chi sostiene che bisogna stare all’opposizione perché quello è il ruolo affidato al PD dagli elettori gioca con le parole, non fotografa la realtà: il PD è stato messo all’opposizione da chi ha votato per gli altri, non dai propri elettori, perché in democrazia uno vota per mandare al potere quelli che vuole sostenere, mica per dire a coloro per i quali non vota cosa fare una volta aperte le urne.
La strada che il PD ha davanti è lunga e tortuosa, ma non è un burrone, si cominci a camminare. Anzi, se possibile, a correre, a correre verso la gente, insieme alla gente.
Andrea Carpentieri