di Pasquale Di Fenzo
“Chi è costui che sanza morte va per lo regno de la morta gente?” Dante. Divina Commedia. Inferno. Canto VIII. Chiedo venia per l’ardito paraustiello simil-dantesco. Anche perché quella di cui mi accingo a profferir parola, non è una commedia, bensì una farsa. E nemmeno divina.
“Costui che sanza morte” vaga come un cretino, tra gli stadi, vessato da quattro diversi abbonamenti TV, altri non è che il semplice tifoso, qualcuno lo definirebbe il “fruitore ultimo” del calcio italiano. Il calcio italiano, appunto, è “Lo regno de la morta gente”, che fino agli anni ’80 offriva il campionato più importante, più ricco e più bello del mondo. Oggi a livello di importanza il nostro campionato oscilla tra la quarta e la quinta posizione in Europa. Per ricchezza siamo a distanze astronomiche dalla Premier League inglese, e per la bellezza è questione di gusti.
Come diceva il Principe, c’è a chi piace e a chi non piace. A me per esempio piace il calcio difesa e ripartenze (che una volta si chiamavano “contropiede”), E mi annoia il tiki-taka. Ma quella che proprio non sopporto, è “la morta gente”, vale a dire i e dirigenti federali e di Lega, alla ricerca del brand perduto. Poi gli arbitri ed i loro capi: l’ultima vera casta rimasta in Italia. Arroganti, autoritari ed autoreferenziali al massimo delle capacità umane. Una categoria che si giudica, si promuove o si boccia senza interventi esterni. I vari ragionieri Casoria insomma!
Gente che ha subito di essere preso a capate in faccia da qualche calciatore, e poi è diventato capo degli arbitri. Ma forse lo è diventato proprio per aver supinamente subito quelle capate in faccia. Gli episodi verificatisi nelle ultime giornate di campionato, che non varrebbe nemmeno la pena di ricordare, tanto sono ridicolmente esaurienti, stanno lì a testimoniarlo. Episodi valutati in modo diverso dallo stesso arbitro e spesso durante la medesima partita. Impunemente. Con protervia e arroganza, dettate dalla sicurezza della immunità acquisita. L’ultima presa in giro è stata quella di farci ascoltare, a una settimana di distanza, gli audio intercorsi tra arbitro e VAR. Alcuni episodi erano stati sviscerati a caldo da moviolisti, opinionisti e fancazzisti vari. Il fallo di Lautaro su Lobotka, che poi ha portato al gol di Chalanoglu, tanto per non fare nomi.
A caldo tutti gli addetti ai lavori, (tutti!), “a unisono”, come direbbe Verdone, avevano opinato che era indiscutibilmente fallo. Invece nell’audio fattoci ascoltare si sentono, sempre “a unisono”, arbitro, varista e quel mangiapane a tradimento che risponde alla qualifica di avarista, chiuso a mo’ di bruco nel suo bozzolo, inerme come un’ameba (quelle del Venezuela citate dal Caratenuto Cav, Antonio, comandante delle Guardie Metropolitane di Sorrento), tenacemente a difesa del cospicuo gettone di presenza, che nel giro di pochi secondi e senza alcuna esitazione, hanno sentenziato che il fallo non c’era ed il gol era valido. Non so voi, ma io ho avuto l’impressione di ascoltare quelle intercettazioni che si sentono nelle trasmissioni come “Chi l’ha visto” o “Quarto Grado”, dove gli intercettati, sanno di essere intercettati e dicono solo quello che vogliono far sapere agli inquirenti. Fatemi piuttosto ascoltare gli audio scomparsi del 2018!
E vogliamo parlare del fallo di Lukaku che ha portato al rosso diretto? Sempre Graziano Cesari, unanimemente riconosciuto come il più esperto dei moviolisti televisivi, aveva detto: “Questo è fallo violento: minimo due giornate di squalifica, sicuro!” Ed invece l’attaccante della Roma ha avuto una sola giornata di squalifica. Non c’è stato neanche bisogno di fare ricorso, forse perché un eventuale ricorso, esaminati attentamente gli atti, avrebbe potuto portare ad un aumento della sanzione. Meglio evitare sorprese. Come quando l’arbitro non viene richiamato al VAR, perché potrebbe rendersi conto di aver sbagliato e prendere decisioni “pericolose”. Alla fine Lukaku sarà presente contro il Napoli. Ma questo è un dettaglio. Come Zaza nel 2017, che poi segnò il gol scudetto contro il Napoli. Altro dettaglio. Corsi e ricorsi storici, che di storico non hanno niente, perché hanno a vedere con la cronaca. Nera, naturalmente.