di Gianluca Spera
In questa fase storica di rancori, frustrazioni e idiozie assortite, fa notizia solo chi urla, gonfia la giugulare e inveisce. Le storie più intime, gli esempi di umanità (che ancora sopravvivono) vengono relegati nel migliore dei casi tra le notizie brevi della cronaca.
Eppure, solo un Paese distratto e intellettualmente disonesto, può archiviare la lezione di civiltà che Antonella Leardi, la mamma di Ciro Esposito, ha elargito subito dopo aver conosciuto l’esito del giudizio di Cassazione che ha confermato la pena di sedici anni per Daniele De Santis, colpevole di aver sparato il proiettile che ha ucciso il giovane tifoso azzurro nel maggio 2014.
“Volevo la verità, e l’ho avuta: non mi interessa quanti anni si fa De Santis ma solo che siano state definite le sue responsabilità“. La Leardi non ha mai usato il diritto come una spada, la sentenza non sarebbe stata la sua vendetta. Le interessava soltanto stabilire un principio di giustizia, preservare la memoria e l’onore del figlio, respingere il tentativo dell’imputato di appellarsi a un’improbabile legittima difesa. Nonostante gli attacchi vigliacchi che ha subito, pure da parte degli ultras romanisti che l’hanno accusata di sovraesposizione mediatica e addirittura di lucrare sulla tragedia subita, lei non ha arretrato di un passo. Non si è scomposta, chi ha dalla sua la forza della ragione non ha bisogno di mostrare i muscoli o digrignare i denti.
Anche se la pena sembra piuttosto lieve rispetto alla gravità del crimine, neanche adesso che potrebbe sfogarsi, la signora Antonella si lascia andare all’invettiva, alla reazione rabbiosa, intestinale. Non ha mai cercato un nemico da abbattere ma solo un tribunale che cancellasse ogni illazione, ogni ombra e mettesse a tacere le maldicenze. Antonella Leardi ha perso ingiustamente il figlio ma non la dignità che può esibire come una medaglia al cospetto di un’Italia livorosa e ottusa.