di Mariavittoria Picone
Negli ultimi giorni ho guardato due film che hanno suscitato in me un po’ di agitazione emotiva, due racconti che, in modo diverso, hanno mostrato le dinamiche familiari e i fragili equilibri su cui si reggono, uno in modo più superficiale, forse anche più razionale, l’altro in maniera più introspettiva, più sentimentale. Due film lontani per ambientazione, dialoghi e tempi, ma incentrati sullo stesso tema: la famiglia. Sto parlando di “Un’isola per cambiare” e “Lacci”.
Il primo è un film di una regista tedesca, Vanessa Jopp, che racconta la rinascita di una cinquantenne, nel favoloso scenario di un’isola croata, Solta. La protagonista, moglie e madre pragmatica, è una bella donna un po’ trascurata, perché troppo impegnata ad organizzare la vita della famiglia, in un quartiere ordinario di Monaco: un marito turco, poco presente, impegnato nella gestione di un ristorante, una figlia adolescente, ribelle e severa, e due genitori anziani.
Alla morte della madre, scopre di aver ricevuto in eredità una casa in Croazia, terra d’origine della madre stessa e, proprio nel momento di grande fragilità, comprende di aver perso la complicità con il marito. Decide quindi di raggiungere la casa materna, allontanandosi dalla famiglia che comincia a sentire un po’ estranea.
Zeynap raggiunge la Croazia con lo scopo di vendere il cottage ricevuto in eredità, ma finisce per innamorarsi del luogo e di un uomo che la porteranno a liberarsi dalle frustrazioni e ad allontanarsi definitivamente dal marito, aiutandola a ricostruire il rapporto con la figlia.
Accanto all’azzurro di un mare accogliente e magnanimo, si sviluppa la strada che percorre la protagonista sulla sua bicicletta, nella scena emblematica, vestita di rosso, con i capelli sciolti ed un sorriso di libertà.
La vita ricomincia da un luogo nuovo, da un abito nuovo, da un amore nuovo.
In Italia, invece, Daniele Luchetti, ispirato dal romanzo di Domenico Starnone, svela l’ipocrisia di una borghesia che non riesce ad uscire dai suoi canoni. Un uomo tradisce la moglie con una collega, che ama e dalla quale è ricambiato, va a vivere a casa sua in un’altra città, quella in cui lavora, rompendo il quadretto della famiglia felice: padre, madre e due figli, un maschio ed una femmina. La moglie non regge il dolore dell’abbandono, urla, rompe oggetti, tenta il suicidio, tutto si spezza, i lacci si sciolgono e nessuno riesce a rinascere, neanche in una città nuova, con un amore nuovo. L’apparire conta più dell’essere. Così l’uomo torna a casa, infelice, cede al ricatto, ma in fondo è lui stesso a volere che la famiglia resti unita, che i bambini crescano con entrambi i genitori presenti, nella stessa casa. Bambini che, una volta adulti, rinfacceranno l’ipocrisia ai genitori.
Ci sono due frasi che recitano i protagonisti nell’ultima parte del film, che spiegano il rancore che portano addosso quelli che non hanno il coraggio di rompere definitivamente una relazione, sono affidate a Laura Morante, che è Vanda dopo trent’anni, e a Silvio Orlando, che invece subentra a Luigi Lo Cascio, nei panni di Aldo, e sono le seguenti:
Vanda: – Ho voluto che tornassi perché potessi essere io a lasciarti
Aldo: – Per restare insieme non bisogna parlare
Nel primo film le immagini sono più eloquenti dei dialoghi, nel secondo, come da tradizione italiana, le parole sono importanti. Il primo film ci racconta una favola, dove alla fine vivono tutti felici e contenti, il secondo ci riporta bruscamente alla realtà, ricordandoci le nostre responsabilità.
L’isola per cambiare ci assolve e ci dà coraggio, Lacci ci accusa.
Un’ultima osservazione sulla musica che accompagna le scene salienti dei film.
In Germania 99 Luftballons è stata una canzone di protesta del 1983, prima della caduta del muro di Berlino, in America divenne 99 Red Ballons ed il testo fu leggermente variato per essere adattato alla guerra fredda nell’epoca reganiana, prima della perestrojka gorbacioviana; nel film tedesco la si ascolta spesso e la protagonista la canticchia ripetutamente, proprio a sottolineare la sua intima rivoluzione.
In Italia, Luchetti sceglie Letkiss dell’Orchestra di Roberto Delgado a sottolineare, a suon di marcetta, la tragica rappresentazione di un teatrino borghese, a volte anche comico.
In una facile metafora, potremmo immaginarci tutti palloncini, tenuti giù e rassicurati da lacci, con l’eterno dubbio se sia meglio essere tra i 99 o diventare il centesimo che è scappato via, magari verso un’isola.