di Maria Rusolo
“Il mio ideale politico è l’ideale democratico. Ciascuno deve essere rispettato nella sua personalità e nessuno deve essere idolatrato. Per me l’elemento prezioso nell’ingranaggio dell’umanità non è lo Stato, ma è l’individuo creatore e sensibile, è insomma la personalità; è questa sola che crea il nobile e sublime, mentre la massa è stolida nel pensiero e limitata nei suoi sentimenti.”
Può affermarsi un ideale democratico in un Paese in cui esiste ancora il principio del ” Nome del Padre”? Può essere un Paese civile quello in cui la capacità dei ragazzi viene massacrata e vilipesa ogni giorno solo perché non hanno famiglie di magistrati o di notabili alle spalle?
Può essere un Paese giusto quello che annulla ogni speranza e mobilità sociale e che privilegia solo le caste, le difende e le tutela? Quale orizzonte ha una Comunità retta da una dirigenza politica che difende solo i privilegi e non si alimenta di tutela dei diritti, che accresce le sacche della povertà sociale attraverso oboli ed assistenza? Qui non si tratta di non comprendere le politiche si sostegno ai fragili, ma di affermare con forza che non sono i bonus a poter consentire la emancipazione sociale di chi non ha mezzi e strumenti per vivere dignitosamente.
Il welfare di un Paese civile si evolve, tiene conto dei cambiamenti epocali che lo coinvolgono, si prende carico delle fasce più deboli e le emancipa, con investimenti in istruzione, formazione, cultura universitaria, e cultura umana. Così si rimane in un limbo perenne in cui ai meritevoli non toccano che le briciole ed ai raccomandati o ai privilegiati resta gran parte della torta. Se non nasci nel posto giusto sei ” fottuto” non c’è percorso di studi che tenga, non c’è impegno che valga, non c’è sacrificio che possa aprire le porte murate della Casta.
E quando alla rabbia sociale si risponde con false rivoluzioni per poi accaparrarsi tutto restano solo macerie, resta solo il malcontento delle generazioni che hanno lottato, che hanno investito e tutto diventa un deserto in cui provare a sopravvivere, perché hai un mutuo, due bambini ed una macchina da pagare. Il problema è da sempre la lotta alla disuguaglianza che non ha colore politico, non ha collocazione geografica, che però ha perso il suo appeal, è la vuota espressione da campagna elettorale che poi nasconde nel sottobosco, la clientela e l’acchiappo del posto per fortificare le proprie posizioni di potere.
Ed allora non se ne può più non si può più leggere dei figli di, non si può cedere al familismo amorale, al consolidamento in ogni campo di rappresentanza o di gestione della cosa pubblica dei parenti e degli affini che tagliano le gambe ad ogni merito e ad ogni competenza, ad ogni impegno ad ogni investimento su se stessi. Questo Paese va rinnovato completamente, non ha bisogno di una rinfrescata al mobilio o alle pareti, si deve partire dalle fondamenta per rinnovare completamente un sistema che rischia di crollare perché toglie il respiro ai giovani dopo aver già azzoppato la generazione dei quarantenni.
Vorrei gridare con quanta forza ho in corpo, ma una sola voce non è sufficiente, ma se unissimo tutte le voci potremmo far tremare le pareti ed abbattere muri e confini. E’ accaduto altrove, è accaduto in altri momenti storici, ora spetta a noi far in modo che la equità divenga metro di valutazione ed orizzonte politico e sociale. E come dico sempre nessuno può rimanere a braccia conserte attendendo che i cambiamenti arrivino come manna dal cielo, come concessione della divinità di turno, le rivoluzioni partono con il coinvolgimento delle masse che diventano popolo e comunità.
“Dicono che noi rivoluzionari siamo romantici. Sì, è vero, ma lo siamo in modo diverso, siamo di quelli disposti a dare la vita per quello in cui crediamo.”