Il grande pasticcio dei sacchetti di plastica. Divieto di commercializzazione, a che punto siamo?

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Il 21 agosto scorso sarebbero dovute entrare in vigore le sanzioni per la commercializzazione dei sacchetti di plastica per l’asporto delle merci. Ma a tutt’oggi i commercianti, i produttori di sacchetti, i rivenditori non sanno ancora a quali norma attenersi.
È il solito pasticcio tutto italiano.

Cerchiamo di capire, tramite l’ufficio legale delle Confesercenti nazionale a che punto siamo.
“L’Art. 11, comma 2-bis, del DL 24 giugno 2014, n. 91 (c.d. “Decreto Competitività”), convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 116, ha stabilito che le sanzioni per la commercializzazione dei sacchetti per l’asporto delle merci (“shoppers”) non conformi alle norme di cui al DL n. 2/2012 sono direttamente applicabili dalla data di entrata in vigore della norma, ossia dal 21 agosto scorso, senza doversi attendere l’efficacia del Decreto (DM 18.3.2013) che ha individuato le ulteriori caratteristiche tecniche ai fini della loro commercializzazione.
Come lo scrivente Ufficio aveva chiarito con la nota n. 4437 del 18.11.2013, infatti, la Legge (DL n. 2/2012, art. 2, comma 4) antecedentemente prevedeva che l’efficacia delle sanzioni decorresse dal sessantesimo giorno dall’emanazione del menzionato Decreto Ministeriale (emanazione che il Ministero dell’Ambiente ha inteso come efficacia); tuttavia, detto provvedimento è sottoposto a procedura di comunicazione alla Commissione UE ai sensi della Direttiva 98/34/CE, con previsione di entrata in vigore dalla data di conclusione, con esito favorevole, della procedura stessa.


E, non essendosi conclusa detta procedura, il Decreto non può dirsi efficace.
 Ora, però, essendo le sanzioni direttamente applicabili per effetto della modifica intervenuta, la commercializzazione dei sacchetti non aventi le caratteristiche richieste è punita dal 21 agosto con la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 2.500 euro a 25.000 euro, aumentata fino al quadruplo del massimo se la violazione del divieto riguarda quantità ingenti di sacchi per l’asporto oppure un valore della merce superiore al 20 per cento del fatturato del trasgressore.
 Nulla dice la Legge circa la possibilità di smaltire le scorte di sacchetti non conformi in giacenza negli esercizi commerciali, mentre nel 2011, all’epoca della prima previsione del divieto, poi prorogato, il MISE, in accordo con il Ministero dell’Ambiente, aveva comunicato che “resta consentito lo smaltimento delle scorte in giacenza negli esercizi artigianali e commerciali alla data del 31 dicembre 2010, purché la cessione sia operata in favore dei consumatori ed esclusivamente a titolo gratuito”.
Non possiamo, fra l’altro, non evidenziare che alcune Associazioni di produttori di sacchetti di plastica hanno proposto alla Commissione UE denuncia delle norme in questione per violazione del diritto comunitario.
Infine, è in corso di approvazione la Proposta di Direttiva che modifica la Direttiva 94/62 sugli imballaggi e rifiuti di imballaggio al fine di ridurre il consumo di borse di plastica in materiale leggero, COM (2013) 761 def. Tale proposta è stata approvata dal Parlamento Europeo in prima lettura il 16 aprile 2014 e, allo stato, è ancora in fase propositiva. La proposta di Direttiva è stata accompagnata da una discussione di merito e di sostanza sui concetti di biodegradabilità e compostabilità e sulla effettiva necessità di messa al bando integrale di prodotti biodegradabili ma non compostabili ai sensi della norma tecnica UNI EN 13 432:2002, con posizioni molto differenziate all’interno del Consiglio e dell’Unione. Dunque non siamo ancora in grado di anticipare l’esito dell’iter di approvazione della norma comunitaria.”

In Italia, come al solito, è tutto terribilmente complicato. In Francia, da decenni, negozi e ipermercati hanno eliminato i sacchetti di plastica. Le persone si sono abituate ad usare borse riutilizzabili. Il cliente italiano, e lo dico per esperienza quotidiana personale, si offende se non lo fornisci del tanto amato sacchettino inutile. E, se non è di plastica bella spessa, se la prende anche: “Devo prendere l’autobus, devo fare tanta strada, me ne dia due o uno più spesso!” Basterebbe anche solo il responsabile comportamento di ognuno di noi, per ridurre in maniera considerevole la quantità di plastica in circolazione. Cominciando a scegliere merci con meno imballaggi possibili (vi giuro, è possibile!) e portandosi le borse da casa anche solo riutilizzare quelli di plastica che abbiamo in casa fin quando è possibile.
Ma in questo Paese non ci facciamo mancare nulla, nemmeno la truffa dei falsi sacchetti biodegradabili.

Assobioplastiche e il Consorzio Italiano Compostatori hanno denunciato la presenza di sacchetti commercializzati come “biodegradabili“, che in realtà non lo sono. Addirittura sarebbero il 60% del totale di quelli disponibili in Italia. La denuncia è stata accolta dalla procura di Torino e il pm Raffaele Guariniello ha aperto un fascicolo per “frode in commercio”, per il momento contro ignoti, con lo scopo di individuare, in collaborazione con i carabinieri del NAS, il Ministero dell’Ambiente e l’Istituto Superiore di Sanità, le aziende che producono e distribuiscono, in trasgressione della legge, le buste incriminate.

Francesco Ferrante, di Green Italia, così ha commentato la notizia:
“La truffa economica e ambientale è di dimensioni enormi. L’Italia, grazie al percorso iniziato nel 2007 con l’emendamento del sottoscritto alla Finanziaria di quell’anno, è una volta tanto avanti rispetto alle prescrizioni europee: la nuova direttiva europea si pone l’obiettivo di riduzione del 50 % in tre anni dell’utilizzo degli shopper usa e getta, un obiettivo già raggiunto, perché erano 180mila le tonnellate di shoppers introdotte nel mercato italiano nel 2010 prima del divieto, ridotte a 90mila nel 2013.”

I danni sono ambientali, ma anche economici e ricadono, come sempre sulle aziende che lavorano nel pieno rispetto della legge.

Marco Versari, presidente di Assobioplastiche:
“Quello che abbiamo denunciato è un problema dal punto di vista industriale, visto che chi mette sul mercato come compostabili sacchetti che non lo sono danneggia chi invece opera in maniera corretta. C’è però anche un problema ambientale enorme: i cittadini sono convinti di avere un sacchetto ecologico e dopo la spesa lo usano per fare la raccolta differenziata dell’organico, ma in realtà quello che buttano nella spazzatura non è un prodotto biodegradabile.”
In attesa che venga colmato l’abituale vuoto legislativo e venga fatta luce sulle truffe, molto, come sempre, lo può fare il cittadino. Rifiutare il sacchetto, anche quello biodegradabile ed usare altro.
Sarebbe opportuno che, invece delle borse di plastica, si usasse, una volta tanto, il cervello.

*articolo pubblicato su omissisnews.com

Classe 72, torinese e profondamente torinista e anti-juve. Convinta notav, amante della satira e della comicità. Scrivere è tutto quello che vorrebbe fare da grande.