di Christian Sanna
Elena, causa della guerra fra Greci e Troiani. La donna più bella del mondo, forse figlia di Zeus. Beatrice, l’amore idealizzato di Dante, colei che è capace di avvicinare l’uomo a Dio, accogliendolo nel Paradiso alla fine del viaggio nella Divina Commedia. Laura il turbamento di Petrarca, con un corpo tanto tentatore da suscitare nel poeta desideri terreni. Silvia pura giovane e sfortunata.
La storia incompiuta di Giacomo: la giovinezza che fugge via insieme alla speranza. In principio le Muse erano divinità figlie di Zeus (dio assai fertile) e di Mnemosine (dea della memoria) ed avevano un posto d’onore nella gerarchia divina; rappresentavano l’Arte e venivano associate a canti e balli.
La Musa è una figura centrale nella storia della letteratura e dell’arte e che sia una persona, una cosa o una situazione la sua funzione è quella di incoraggiare l’atto creativo dell’artista. Da qui il termine “Musa Ispiratrice” cioè l’ispirazione che viene in soccorso del creativo, mediante la visione di un’abbagliante bellezza, probabilmente subordinata e condizionata da uno stato d’animo predisposto all’idealizzazione. Senza Elena Dmitrievna D’jakonova ( nome originario), Salvador non sarebbe mai (forse) diventato Dalì, perchè Gala Èluard già moglie del poeta francese Paul, è stata per il pittore surrealista, amica, compagna, complice, amante, consigliera, moglie e soprattutto MUSA.
La mise al centro del suo universo artistico, spirituale e sentimentale e la ritrasse per tutta la vita con un vigore ed un desiderio ogni volta rinnovati e potenziati, come se in quel rapporto bruciasse fuoco sacro e non ci fosse posto per una crisi, un ripensamento o un momento di flessione. Un amore a prima vista, eterno, una specie di incantesimo così profondo da spingere l’artista a dire “Lei mi guarì grazie alla potenza indomabile ed insondabile del suo amore: la profondità di pensiero e la destrezza pratica di questo amore surclassarono i più ambiziosi metodi psicoanalitici”.
Si conobbero nel 1929 e fu subito colpo di fulmine; Dalì vide materializzarsi davanti agli occhi la donna ideale che aveva sempre sognato, cercato e dipinto. Gala non rappresentava i canoni classici della bellezza del tempo, ma era una figura elegante con una personalità forte ed affascinante, una donna colta e sicura di sé. Così carismatica da esercitare sull’artista di Figueres un “dominio” assoluto; Dalì dipendeva completamente dalla compagna, a tal punto da dire in una delle tante dichiarazioni d’amore “ Amo Gala più di mia madre, più di mio padre, più di Picasso e perfino più del denaro”. La donna è presente in moltissime opere del pittore spagnolo: nuda, vestita, di spalle, in primo piano. Un’autentica ossessione.
Nel dipinto L’apoteosi di Omero il corpo dalle forme morbide della donna è nudo e sdraiato, nell’opera Galarina, chiaro omaggio a Raffaello, Gala è ritratta con le braccia incrociate, indossa una camicetta da cui fuoriesce il seno sinistro. Timida e riservata, ma bellissima e con inclinazioni artistiche era Jeanne Hèbuterne. Aveva solo diciannove anni quando nella primavera del 1919 conobbe Amedeo Modigliani. Fu amore a prima vista: lui dandy italiano, artista “maledetto” e lei aspirante pittrice dalla pelle del viso bianco latte ed i capelli rosso castani. Una meravigliosa creatura. Per amore di Modì rinunciò alla carriera artistica, diventandone la Musa.
Il pittore livornese la ritrasse in mille pose, esaltandone grazia, bellezza e mistero. Il dipinto Jeune fille rousse presenta agli occhi dell’osservatore una giovane donna dai lunghi capelli rossi e dallo sguardo assorto e sognante, vestita di nero. Anche qui come in altre opere c’è la valorizzazione del volto ovale e allungato e del collo slanciato dell’amata. Della sua Musa, Modì amava sottolineare la bellezza espressiva degli occhi e la figura aristocratica. Di certo Jeanne influenzò non poco il repertorio di Amedeo, arricchendolo di eleganza e di grazia. Di Muse ne ebbe diverse e a tutte regalò almeno una canzone, perché ognuna lo aveva amato e gli aveva insegnato qualcosa. Amava profondamente le donne ed era ricambiato, affascinato dall’universo femminile, dal suo mistero.
La parabola artistica dell’indimenticato cantautore canadese Leonard Cohen, sublime poeta ed irrequieto rubacuori, ci insegna che senza Musa non c’è Poesia e che l’ispirazione è tutto, ma l’ispirazione nasce dalla spinta propulsiva di una passione, un’attrazione, un sentimento. Così Suzanne e le altre ebbero tutte dei posti speciali nel cuore di Leonard, ma nella mente nei pensieri c’è stata per tutta la vita una sola immagine: il sorriso di Marianne, angelo biondo, ad Idra. Lei Marianne Ihlen giovane norvegese bellissima e solare, separata e con un figlio a carico. Lui, non ancora famoso, poeta e scrittore a corto di ispirazione, famiglia borghese alle spalle.
Si incontrarono sull’isola greca di Idra dove lui si era rifugiato per trovare l’ispirazione. La trovò in lei. Colpo di fulmine. Ben presto presero casa sull’isola e andarono a vivere insieme, lui si prese cura della ragazza e del bambino. Vissero anni spensierati e felici, la vita sull’isola era allegra e ricca di fermento culturale. Marianne divenne la sua Musa ed i testi del poeta Cohen diventarono sempre più intensi, complessi, emozionanti. La coppia andò in crisi quando Leonard raggiunse il successo. Divenne difficile continuare a vivere sull’isola e fra i due il rapporto si incrinò. Il poeta dal cuore ballerino la lasciò con una canzone che è insieme dichiarazione d’amore e passo d’addio.
In Addio, Marianne il cantautore canadese dalla voce roca e profonda canta “Le tue lettere dicono sempre che mi sei accanto ora. Perché allora mi sento solo? Sono in piedi sopra un cornicione e la tua ragnatela assicura la mia caviglia ad una pietra. Ora addio Marianne, è tempo che ricominciamo a ridere e piangere, a piangere e ridere” . Ebbe altre donne, nuove Muse e scrisse canzoni meravigliose, ma non dimenticò mai quell’amore. E quando seppe della scomparsa del biondo angelo norvegese, conosciuta sull’isola di Idra negli anni sessanta, le scrisse un biglietto struggente “ Sai che ti sono così vicino che sei allungassi la mano, potresti toccare la mia. E sai che ti ho sempre amato per la tua bellezza e la tua saggezza. Non c’è bisogno che ti dica più nulla perché sai già tutto”. Cohen la raggiunse pochi mesi dopo ed ebbe ragione su due cose: quando scrisse che le era davvero idealmente vicino e che lei sapeva già tutto. Perché il legame fra l’artista e la sua Musa è indissolubile, eterno. Perché le Muse sanno davvero già tutto. E non c’è mai bisogno di parole. Solo di poesia.