“Aprile è il mese più crudele”, diceva T.S. Eliot. Il periodo dell’anno che “confonde memoria e desiderio”. Per il Napoli ha segnato semplicemente la fine delle illusioni in maniera brusca e inattesa. I sogni di gloria accarezzati per gran parte della stagione sono naufragati nelle ultime tre trasferte (Udine, Inter e Roma). Tre partite lontano da Fuorigrotta: tre sconfitte. Tre gare diverse una dall’altra in cui si sono evidenziati tutti quei limiti che hanno impedito alla squadra partenopea di contendere agli imbattibili rivali lo scudetto fino all’ultima giornata. Disfunzioni che hanno messo in pericolo anche il raggiungimento del secondo posto che sembrava un traguardo più che scontato, ormai acquisito, il minimo sindacale in un campionato a tratti esaltante.
In Friuli abbiamo osservato una squadra logorata, priva di ricambi, il cui nervosismo è dapprima imploso e poi esploso anche in virtù dell’irritante condotta di gara dell’arbitro Irrati. A San Siro, la rete in apertura, viziata da un evidente posizione irregolare, ha condizionato il resto della partita; così come il metro di giudizio arbitrale, piuttosto permissivo, ha consentito all’Inter di praticare un calcio tanto ruvido quanto efficace. Al Napoli è stato anche negato un rigore ma, in generale, dopo il raddoppio nerazzurro, la squadra di Sarri si è liquefatta, mostrandosi molto simile a quella che avevamo già sofferto contro l’Udinese, con il solo alibi della pesantissima assenza di Higuain.
La sconfitta dell’Olimpico è la più spietata anche perché rimanda a un’altra giornata amara, quella in cui gli azzurri hanno abbandonato le velleità di titolo. In pratica, l’andamento della partita contro la Roma è stato tremendamente identico a quella dello Juventus Stadium, con il Napoli in controllo e avversari più stanchi, quasi rassegnati al pareggio. Eppure, a Torino per una deviazione e a Roma per una distrazione fatale, nei minuti finali sono maturate sconfitte decisive, forse figlie dell’inesperienza o dell’esitazione.
In entrambi i casi, il Napoli ha dato l’impressione di accontentarsi del risultato minimo, tradendo, però, delle incertezze sul modo attraverso il quale raggiungere l’obiettivo. Affondare o tenere palla? Arretrare o restare alti? Come nel tennis, quando si è indecisi se andare a rete o meno, si resta colpevolmente nella cosiddetta “terra di nessuno” e si favorisce il facile passante dell’altro contendente. Probabilmente, gli avversari si sono accorti dell’ansia da prestazione degli azzurri e li hanno castigati senza nessuna pietà, prima con Zaza poi con Nainggolan. Risultato: primato sfumato e secondo posto ancora in bilico. In pratica, il Napoli, abilissimo com’è a complicarsi la vita, s’è rivelato incapace di difendere lo zero a zero nel preciso momento in cui anche il pareggio avrebbe avuto il sapore di una vittoria.
Ora non resta che vincere le ultime tre partite. L’impresa è assolutamente possibile. Non difendere il secondo posto indurrebbe a rivedere certi giudizi lusinghieri, a riconsiderare l’andamento complessivo della stagione. Di tutto il resto, a iniziare dall’organigramma societario, del diverso peso politico che ha il Napoli rispetto alla Juventus, della impellente necessità di puntellare la squadra con ricambi di qualità che consentano sia la tanto auspicata duttilità tattica che una rotazione affidabile dei giocatori, se ne potrà più tranquillamente discutere con la musichetta della Champions in sottofondo. Per ora, c’è solo da innalzare il livello di concentrazione, da dimenticare la cocente delusione per l’esito della rincorsa al primo posto, con la rassicurante consapevolezza che il Napoli è ancora padrone del proprio destino e il più crudele dei mesi volge ormai alla conclusione.