È evidente che, approssimandosi alla scadenza del prossimo 4 dicembre, il nervosismo di Renzi aumenti.
Ha caricato il referendum di molti, troppi significati, correndo così il rischio di giocarsi il suo futuro politico su un Sì o un NO, da cui dipenderanno i destini del nostro Paese per i prossimi decenni.
In primis, non avrebbe dovuto esporre il Governo in modo così netto nella campagna referendaria, ma, nonostante i moniti di Napolitano, ha continuato su una strada che si sta trasformando in un vicolo cieco, visto che – così facendo – ha, ovviamente, dato nuova linfa ai suoi avversari, interni ed esterni, che usano la competizione referendaria per disarcionarlo.
Molti ricordano che, negli anni nei quali il Parlamento scriveva l’odierna Carta, 1946/47, i Ministri dell’allora Dicastero De Gasperi non presero parte al dibattito dei padri costituenti e lo stesso Presidente del Consiglio intervenne, solo, per far sentire la sua autorevole opinione in merito all’art. 7 della Costituzione, quello che disciplina i rapporti fra Stato e Chiesa, a dimostrazione del fatto che la legge delle leggi deve essere espressione di tutti e non solo di una parte, tanto più se questa è quella che governa il Paese.
Inoltre, il secondo tragico errore, che ha commesso finora Renzi, è stato quello di aver parlato del dopo-voto, come se i giochi fossero già fatti alla luce dei sondaggi, che sono molto favorevoli per il NO.
È pleonastico sottolineare che nessuno può far affidamento sui sondaggi, che molto spesso si sono dimostrati sbagliati.
Peraltro, in occasione di questa competizione, alcuni milioni di Italiani decideranno cosa votare solo nei giorni immediatamente precedenti al prossimo 4 dicembre, per cui la fetta di indecisi potrebbe modificare la tendenza odierna.
Ma, appare a tutti evidente che, dopo il 4 dicembre, Renzi dovrà assumere una decisione: in caso di vittoria, confermare la squadra di Governo e rilanciarne l’azione ovvero, in caso di sconfitta, farsi da parte e prepararsi al Congresso del PD, per difendere almeno la Segreteria del partito, visto che l’incarico di Premier sarebbe, a quel punto, perso definitivamente.
Inoltre, appare pleonastico sottolineare che, con Renzi, finirebbe molto probabilmente – anche – la stagione del renzismo, perché i protagonisti degli ultimi due anni, che sono cresciuti intorno al nuovo Presidente del Consiglio, inesorabilmente sarebbero chiamati a farsi da parte, come il loro mentore.
Era, allora, proprio necessario spaccare in due un partito ed un Paese intorno ad un quesito referendario, che poteva essere gestito diversamente?
La politica dovrebbe includere ed essere finalizzata a creare nuove e più corpose alleanze; mi pare che qualcuno si sia divertito, piuttosto, ad essere divisivo e questo attributo potrebbe costargli caro, invero molto caro.
Cui prodest?
Rosario Pesce