Col permesso dell’establishment culturale partenopeo, torniamo a parlare di calcio, solo di calcio, niente altro che di calcio. Di pallone che rotola sul rettangolo verde, di strategie societarie, tattiche e moduli di gioco, acquisti e cessioni, prospettive per la prossima stagione. Il nuovo tecnico del Napoli, Maurizio Sarri, accolto finora con un po’ di diffidenza, ha solleticato l’immaginario collettivo di quell’area presuntivamente illuminata del tifo napoletano.
Più delle lezioni di calcio impartite dall’artigiano Sarri all’accademico Benitez nelle due partite di campionato, ha potuto l’ormai famigerata intervista rilasciata dall’ex allenatore dell’Empoli a Gianni Mura su “La Repubblica” condita dall’endorsment politico e dalle preferenze letterarie che hanno scatenato editoriali iperbolici: “La classe operaia va in Paradiso”, “A sud di nessun nord” e qualche aforisma ascrivibile ad Arturo Bandini, la creatura letteraria di John Fante.
Conferire quest’aura di uomo colto, intelligente, brillante, ‘cazzimmoso’ non è che sia un fatto negativo. Tutt’altro. Ma, prima di commettere lo stesso errore concettuale dell’era Benitez – al di là del fatto che c’abbiamo sicuramente guadagnato in qualità delle citazioni – quello che tremendamente ci preme capire è quali saranno i programmi– siamo d’accordo sull’abolire la parola “progetto”? – nel breve periodo del Napoli e di De Laurentiis.
Appare evidente che l’infatuazione per Sarri sia nata proprio la sera che s’è spenta inesorabilmente l’utopia beniteziana. La trasferta di Empoli è stata il crocevia e, con ogni probabilità, il capolinea di un’idea troppo sofisticata di calcio, inapplicabile in certi contesti e in determinate situazioni tecniche. Benitez era la teoria, la lezione fine a se stessa, l’illusione. Sarri è la pratica, la fatica applicata al calcio come se fosse un gran premio della montagna, l’umiltà di chi sa che deve conquistarsi anche le piccole cose, giorno dopo giorno, attimo dopo attimo. Il paragone con Landini non regge. Sarri non è un capopopolo, ha un carattere schivo, sussurra e non urla, non ama le luci della ribalta, è forse un ribelle senza causa, uno che vuole dimostrare al mondo che si può vincere restando nell’ombra, lasciando agli altri il palcoscenico. È un napoletano atipico, un antirenziano silenzioso, un partigiano contemporaneo. Mostra la faccia tosta ma si fa rispettare senza strillare consapevole che non rinuncia a esibire autostima e un pizzico di presunzione. Insomma, la tuta dell’allenatore è la propaggine della sua divisa da bancario, umile e laborioso. Rappresenta la precisione che ha applicato quest’anno a Empoli, l’armonia algebrica di una squadra che, in qualche occasione, con veloci sincronie e calcolate geometrie ha sculacciato quelle più ricche e blasonate.
Certo, nel palmares, restano solo le stagioni d’oro a Sansovino tra i campi polverosi della periferia toscana del pallone. Niente di memorabile. Il repentino salto dalla tranquilla realtà empolese alle turbolenze napoletane, rischia di bruciare l’ardore di Sarri che si trova improvvisamente catapultato in un ambiente complesso ed esigente. Ora tocca a De Laurentiis proteggerlo, tenerlo al riparo dalla pressione, fornirgli, prima di tutto, una squadra competitiva, mettergli a disposizione giocatori adatti al suo modulo. Non c’è più il paravento Benitez a coprire le carenze societarie. Se le cose non dovessero andare per il verso giusto, non si potrebbe imputare nulla a Sarri. Da adesso in avanti il presidente, con le sue contraddizioni e i suoi bruschi colpi di teatro, sarà solo contro tutti. La durata del contratto (limitato a un solo anno con opzione per il secondo) è un chiaro segno di prudenza, il sospetto che un altro tecnico – forse Conte come preconizza qualcuno con inviabile spirito di immaginazione – è pronto a sedere sulla panchina azzurra fra dodici mesi. Fatto sta che l’idea Sarri resta una bella suggestione, rimanda a un altro calcio e a un’altra epoca, quello delle radioline e di novantesimo minuto. Se sarà pure una scommessa azzeccata lo dirà solo il campo, giudice supremo delle sorti di presidenti, allenatori e calciatori. Il Napoli di Sarri può diventare una favola moderna o trasformarsi nel peggiore degli incubi per i tifosi azzurri. Tutto dipenderà da De Laurentiis, dal supporto tecnico che saprà fornire al nuovo allenatore, dal feeling che riuscirà a instaurare con l’uomo che ha scelto per ridimensionare le aspettative, evitando proclami estivi, voli pindarici e conseguenti cocenti delusioni. “Un anno terribile”, come l’ultimo romanzo di John Fante, si è appena concluso e va archiviato in fretta. Mai come ora è il presidente che deve inventarsi il colpo di scena che prepari un finale inatteso ma incredibilmente lieto.