di Fabio Buffa
Siamo nel pieno del Giro d’Italia e quando vediamo la corsa in rosa in Tv la nostra mente, oltre a tifare per i corridori italiani, va ai grandi che hanno fatto la storia del ciclismo, azzurro e internazionale. Coppi e Bartali, innanzitutto, poi Baronchelli, Gimondi, Moser e Saronni. Sino ad arrivare al mito di Marco Pantani e alle smargiassate di Mario Cipollini.
Ma, in pieno periodo dedicato alle due ruote, vogliamo ricordare la figura di un anti-divo, un anti-eroe del ciclismo: la maglia nera per antonomasia. Un anno fa in questo periodo, o poco oltre, cadeva il centesimo anniversario dalla nascita di Luigi Malabrocca. Fu un vero rivoluzionario del ciclismo, capace di far splendere la maglia nera, da ultimo in classifica, quasi come quella rosa del giro o quella gialla del tour. Vabbè, magari detta così è un po’ esagerata la cosa, ma Luigi Malabrocca diede un significato profondo, diremmo epico, all’ultimo posto di una gara ciclistica.
Nacque a Tortona, a metà strada tra la città di Alessandria e la Lombardia, il 22 giugno 1920; era soprannominato “il cinese”, per quei suoi occhi a mandorla orientaleggianti. Il fatto d’essere (quasi) conterraneo di Fausto Coppi, nella descrizione del nostro Malabrocca, offre un valore aggiunto.
Guai a pensare a Luigi (il Luisèn da la maia negra, come dicevano in dialetto tortonese i suoi conterranei) come un perdente: anzi, si mise subito in luce con la vittoria, a 27 anni, nella Parigi-Nantes. Poi si aggiudicò la Coppa Agostoni e un giro di Slovenia e Croazia, chiamato Kroz Jugoslaviju. Malgrado la notorietà che gli portò la maglia nera, Malabrocca nel 1951 e nel 1953 è campione italiano di ciclocross. Non vince, ma si fa notare anche alla Milano-Sanremo del 1948 e alla Parigi-Roubaix del 1949.
Ma in mezzo a diversi successi e belle figure, Luigi Malabrocca diventò famoso, appunto, per essere la “maglia nera” per eccellenza.
Al Giro d’Italia del 1946, vinto da Gino Bartali, Malabrocca giunge ultimo al 40′ posto. L’anno dopo idem, ma a vincere fu l’amico Fausto Coppi; Luigi, ultimo, a oltre cinque ore dal Campionissimo di Castellania.
Nel 1949 il tortonese al Giro rosa ci prova una terza volta a “conquistare” la maglia nera, ma il vicentino Sante Carollo alla fine risultò più lento di Luisen e “vinse” la “negra”.
Malabrocca morì a Garlasco, dove da tempo si era spostato, nell’ottobre del 2006: è la nipote Serena a mantenere viva la memoria di un idolo che interpretò lo sport in un modo unico, da vincitore, in maglia nera.
Malabrocca è uno di quei personaggi epici dello sport che sembrerebbe mai essere esistito, nato dalla penna di qualche romanziere. Invece fu un uomo, uno sportivo e una figura autentica più che mai: “Per conquistare l’ultimo posto, quindi la maglia nera -dichiarò poco dopo il ritiro- facevo una corsa normale, come fa un gregario, al servizio della squadra; poi, a circa 50 Km dal termine, iniziavo la lotta per l’ultimo posto”.
E c’è anche un curioso aneddoto: “nella tappa di un giro d’Italia Montecatini-Genova, a Sestri mi nascosi sotto un ponte, vidi passare il mio rivale della maglia nera Sante Carollo, aspettai un po’ e mi rimisi in marcia. Ovvimente arrivai ultimo, difendendo la nera”.