È un disco spontaneo, vero, tanto ironico quanto intimo, in cui si fa rap senza dover per forza adeguarsi a determinati stili, sia nelle lyrics che nel suono.
Per presentare il suo ultimo album e parlare della sua storia, Clemente Maccaro ha rilasciato un’intervista ai microfoni di MentiSommerse.it.
Questo il video integrale: https://youtu.be/1PB8fm8Ng3A
“I primi periodi sono quelli difficili e sono quelli dei sogni, quando sogni di diventare una star. E poi sono quelli difficili, perché ti devi far conoscere, ma prima di tutto, cosa un po’ difficile al giorno d’oggi, devi imparare a fare il rap prima di considerarti un rapper.
In Tarantelle, il Clementino di oggi parla al Clementino ragazzino. Quanto è cambiato il tuo approccio al rap e al fare un disco in questi anni?
Al giorno d’oggi, quando tanti ragazzi, magari a poco più di 18 anni, già si sentono arrivati, io per sentirmi arrivato ho dovuto fare almeno 10 anni di rap, saper fare freestyle, saperti porre alle altre persone.
Ci sono tantissime regole che ti trasformano in un rapper: la presenza scenica sul palco, saper utilizzare la voce, saper fare un videoclip, la comunicazione su internet non è una cosa facilissima.
Dire “non avrei mai creduto” è una cosa brutta, però sicuramente speravo, speravo, speravo, magari c’era sempre quel dubbio se andasse bene o meno, però ho continuato a crederci una determinazione“.
Da “Rovine” a Cimitile che sembrava infinita in Tarantelle, il tuo paese è sempre stato al centro della tua produzione musicale. Che rapporto hai con la provincia e cosa rappresenta per te?
“Per me la provincia è tutto, come Napoli, perché sicuramente è dalle radici che si vede anche la crescita di una persona da un punto di vista professionale, artistico e umano. Io senza discorsi dei vecchietti ai circoli fuori casa mia non sarei mai stato capace iscrive determinate cose. Molte volte mi suggeriscono anche loro cosa dire. Non che me lo suggeriscono di persona, però farsi un giro per il proprio paese, guardare queste persone che parlano in strada, fuori al bar, davanti a una partita di calcio, che commentano il Napoli, sono tutte cose che fanno parte di un bagaglio culturale.
Io dicevo “scarpisasanti” perché il soprannome dei cimitilesi è “Scarpisasanti”. Cimitile deriva da coemeterium, che significa cimitero. Ci sono le Basiliche Paleocristiane, quindi fino ad arrivare a dire “Cimitile pareva infinito”, perché, da piccolo, il tuo paese, anche se piccolo, lo vedi immenso, invece poi più passa il tempo, più inizi a girare l’Italia e il mondo e Cimitile diventa sempre più piccolo.
Devo soltanto dire grazie al mio paese, perché mi ha cresciuto con una mentalità provinciale, ma la mentalità provinciale è quella che ha fame, perché per arrivare a Milano a Roma dovevo prima arrivare a Napoli, dovevo prima arrivare alla città e poi alla città fuori”.
“Io lo ringrazio che sto ancora in piedi”. Qual è il tuo rapporto con Dio e la Fede?
“Io credo sicuramente in qualcosa che dall’altro arriva a proteggerci, poi non so nemmeno come si chiama, ma sicuramente io ci credo. Sono uno che crede molto alle stelle, molte volte mi prendono per pazzo, leggo tanti libri, mi piace molte volte stare da solo, perché da solo riesco anche a capire me stesso, riesco a capire gli anni in cui ho fatto tante cazzate e gli anni in cui sta andando bene.
In questo periodo mi sento molto bene, sono contento e continuo a ringraziare che sono ancora in piedi, ma ci voglio stare in piedi per un bel po’, voglio vedere la luce, di buio ne ho visto tanto”.
“Tarantelle” si apre con “Gandhi” e “Un passo dal cielo”, che rappresentano un po’ il perfetto equilibrio di questo album. Come nascono queste due canzoni?
“Io credo di essere sia un rapper molto ironico, sulla musica banger e Gandhi rispecchia proprio quella roba lì, sia molto introspettivo, molto dark e “Un palmo dal cielo” rappresenta, come “Tarantelle”, “Mare di notte”, “verso di te”, “la mia follia” quel tipo di musica.
Dovevo scegliere se fare quello divertente o quello serio, per a un certo punto mi sono detto “Pulcinella è divertente, ma dentro di lui è serio, facciamole tutte e due le cose”.
Non ci sono regole che decidono un artista come deve suonare. Lo stesso Totò era un grandissimo artista che faceva le canzoni ecco divertenti come “Lievate ‘a cammesella” fino ad arrivare a “Malafemmena” che è un pezzo serissimo. Noi possiamo farlo. Eduardo De Filippo anche insegna che dalla povertà di “Natale in casa cupiello” che possono tirare fuori anche un bel po’ di risate però con intelligenza”.
Da Pino Daniele a Tony Esposito, passando per James Senese ed Enzo Avitabile live: lei ha collaborato con i maggiori esponenti del Neapolitan Power. Che influenza ha avuto su di Lei questo movimento culturale?
“Il Neapolitan Power per me ha rappresentato tutto. Io credo di fare un genere ben definito: il black pulcinella.
Lo chiamo così perché il Pulcinella è di Napoli, quindi Pino Daniele, James Senese, Gragnaniello, Avitabile e il black della musica hip hop che ascolto io. Credo che il Neapolitan Power abbia distrutto veramente tutto musicalmente parlando, in senso positivo ovviamente, poi dopo il Neapolitan Power c’è stato poco e niente, c’erano solo neomelodici a Napoli, senza offendere assolutamente il genere musicale, a parte qualche rapper come La Famiglia e Speaker Cenzou.
Poi c’è stato un periodo di buio. Quando io sono ritornato con “ ‘o Viento” è stata la prima canzone hip hop napoletana nelle radio e quindi mi ha dato la forza questo neapolitan power di Pino Daniele agganciato alla musica rap.
Per me è stata una soddisfazione, perché poi ho visto che il popolo ha apprezzato questo stile musicale che continuerò a fare negli anni”.