Il rapporto fra il Premier ed il principale giornale italiano di area progressista è giunto al suo punto più critico: nell’arco di poche settimane, prima Scalfari e poi De Benedetti hanno, pubblicamente, dichiarato che non voteranno in favore del Presidente del Consiglio, quando bisognerà esprimersi sul quesito referendario afferente alla riforma della Costituzione.
Uno smacco, questo, davvero importante, visto che il numero di lettori, che il giornale può condizionare, è rilevante: separarsi da Repubblica e da L’Espresso non ha mai portato fortuna ai leaders del Centro-Sinistra, per cui se tale principio varrà, anche, per Renzi, potremmo dire che l’esperienza al Governo del già Sindaco di Firenze volge, miseramente, ai titoli di coda.
Perdere il referendum costituzionale sarebbe, infatti, esiziale per chi – come il Premier – ha fatto della riforma elettorale e di quella della Carta del 1948 i suoi due principali cavalli di battaglia.
Ed, allora, mentre De Benedetti e Scalfari hanno offerto il loro autorevolissimo benservito al Capo del Governo, cosa fa la minoranza del PD per creare un’alternativa credibile a Renzi?
Frattanto, lancia la candidatura del Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, alla guida del partito, ben sapendo che, nel dopo-Renzi, non dovrà più ripetersi la condizione attuale, per la quale due cariche fondamentali, quali la Segreteria Nazionale del PD e la guida del Governo, vengono a trovarsi nelle mani della stessa persona.
Quindi, al prossimo Congresso del PD, dovranno sfidarsi dei ticket: una personalità individuata come Capo di partito ed un’altra quale Presidente del Consiglio, entrambe contrapposte al Segretario-Presidente, che negli ultimi mesi si è divertito a fare danni al partito ed all’Italia, molto probabilmente più di quanti non ne abbia fatto un ventennio di berlusconismo.
È evidente che le famiglie democratiche si stiano ricollocando: da una parte, tutti i reduci del PCI/PDS, che hanno finalmente trovato la loro unità anti-renziana.
Finanche, Fassino, pur avendo sostenuto per due anni Renzi, ne ha preso le distanze, dopo le dichiarazioni infelici del Presidente del Consiglio, che facevano ricadere sul già Sindaco di Torino, per intero, le responsabilità del fallimento elettorale di giugno.
Dall’altra parte, invece, le famiglie ex-margheritine, che, dopo aver sostenuto Renzi nel corso dell’ultimo biennio, si rendono conto che, in caso di sconfitta al referendum, non si può continuare a difendere l’indifendibile, per cui si stanno guardando intorno, alla ricerca di un’alternativa, che consenta loro di salvarsi e di non rimanere vittime del naufragio renziano.
L’estate sarà rovente, anche, in termini politici, visto che, a cavallo dei mesi di luglio e di agosto, si capirà bene qual è l’orientamento di massima della pubblica opinione in materia referendaria, per cui chi ha intenzione di scendere dal carro renziano comincerà, già, a farlo in queste settimane, allo scopo di individuare un percorso alternativo, che non può non esserci, dal momento che, se effettivamente cadesse il Governo, certo non si andrebbe ad elezioni anticipate per regalare il Paese alla protesta grillina.
Noi, dal nostro canto, non possiamo non evidenziare che le difficoltà indotte dal renzismo più sfrenato erano note, già, dagli inizi del 2016, quando molti segnali erano, palesemente, contrari al Presidente del Consiglio, per cui gli stessi esiti delle amministrative di giugno ci sono apparsi ovvi e scontati, dopo molti, troppi suoi errori.
Auguriamo, certamente, al nuovo corso del PD di non ripetere le gaffe dell’odierno Premier, ma l’impresa, che spetterà al PD nel dopo-Renzi, è davvero improba, perché non solo si devono riconquistare milioni di voti, che sono andati perduti, ma soprattutto è necessario riconquistare la fiducia della pubblica opinione, che oggi o si astiene o vota per un cambiamento radicale, non credendo più nei partiti tradizionali, che sono il retaggio – a volte, peggiore – di quelli del secolo scorso.