di Alessandro D’Orazio
In questi giorni si parla tanto di riforme e di modernizzazione del Paese e sembra quasi che un referendum – fatto passare come “la riforma delle riforme” – possa risollevare le finanze di una intera Nazione. Siamo alle solite. Una musica che si ripete da anni, senza mai cambiare.
Ci sono riforme che da qualsiasi angolazione politica si analizzino vengono definite essenziali per ridare slancio a un Paese sostanzialmente stagnante. Tutti i leader politici e i governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni le hanno solennemente promesse.
C’è chi, come Giuseppe Conte, le ha addirittura annunciate due volte, prima in accordo con la Lega, ora con il Pd! Si tratta di scuola, giustizia, sanità, efficienza delle procedure, taglio della burocrazia, carichi fiscali più equi e lotta all’evasione. Nonostante questo peró, i cambiamenti tanto attesi sono rimasti in un cassetto dimenticato. In fondo la continuità della politica italiana si può leggere nel lasciare le cose come stanno: passano gli esecutivi e nulla viene fatto.
Così il copione non cambia a ogni documento di economia e finanza: il prodotto interno lordo viene aggiustato al ribasso, si butta un po’ di fumo negli occhi individuando riduzioni di spesa che puntualmente non avvengono e un recupero del gettito fiscale che alla fine si riduce in briciole.
L’Italia è un paese irriformabile? Il grado di istruzione è oggi un fattore decisivo nella competizione internazionale ma la scuola e l’università sono ferme a modelli superati e si sta rafforzando un sistema scolastico privato parallelo che però mai riuscirà a supplire ad una non efficace istruzione di massa.
Stesso discorso per la giustizia, la cui lentezza costa circa 18 miliardi l’anno. Un processo civile dura (secondo il Consiglio d’Europa) per il solo primo grado 514 giorni in Italia, rispetto ai 196 della Germania e ai 282 della Spagna. I costi della parte inutile e invadente della burocrazia sono sotto gli occhi di tutti (tranne che della politica). Della sanità meglio poi non parlarne.
Ogni settore presenta così lungaggini e carenze evidenti con il risultato finale di limitare le potenzialità sociali, intellettive, lavorative e produttive degli individui. Ma tutto questo a chi importa? Si battaglia per tagliare di un euro al giorno il costo del nostro Parlamento. E nel frattempo quanto benessere collettivo (che altro non è che denaro in potenza) abbiamo sperperato nei decenni?