di Maria Rusolo
“Ho sempre avuto ben chiaro che dovevo lavorare, perché non esiste femminismo che si rispetti che non sia basato sulla indipendenza femminile”
Potrebbe essere una frase di mia madre ed invece è di Isabel Allende, ma siamo comunque all’interno di un mondo preciso, quello di una generazione che ha vissuto sulla propria pelle, la violenza fisica, quella morale, quella culturale, quella di una appartenenza ad un dato contesto sociale e territoriale. Siamo figlie di quel Sud del Mondo che ha sempre immaginato le donne come ancora di salvezza di una società, nella quale il primo elemento fondamentale era subire in silenzio, ma consentire il mantenimento anche della struttura economica in una data epoca storica.
Noi donne lavoravamo, anche a pochi giorni dal parto, vorrei sottolineare alla nota imprenditrice dell’abbigliamento, e non lo facevamo in tacchi alti, ma nei campi ed in casa, alzandoci alle prime luci dell’alba e senza neanche il diritto di fiatare o di rivendicare una scelta. Era tutto scritto e per avere ” voce” abbiamo dovuto lottare, senza esclusioni di colpo, abbiamo dovuto nascondere i libri, rivendicare il diritto a decidere per il nostro corpo, per il divorzio, per la parità salariale e per la scolarizzazione. Uso il noi, perché il mondo femminile non può ridicolizzare il passato, ma lo deve avere come monito, come grillo parlante sulle spalle, deve guardarsi allo specchio e riconoscere il viso di chi ci ha preceduto, così cambiamo la storia.
Per cui dispiace quando siamo costrette ad ascoltare certe frasi, che sono buttate lì con una certa vaghezza ed ingenuità, da donne, da nostre sorelle convinte chissà di quale emancipazione. Non c’è emancipazione se si ghettizza, se non si coglie il mondo per quello che è e se non si vive la complessità del momento storico. Noi dobbiamo capire che c’è una libertà che non libera, se non si riconosce in una eguaglianza sostanziale, in una equità presente e futura, e che non ha alcun senso se rimane scritta nei codici e nelle leggi, ma non ha una affermazione pratica e quotidiana. Siamo ancora circoscritte nel recinto della scelta tra la carriera e l’essere madri e sapete il perché ? Perché nella pratica il carico familiare resta tutto sulle nostre spalle, al diavolo chi parla di bigenitorialità, siamo noi a crescere i figli, ad accudirli quando sono ammalati, a chiedere i congedi di maternità, e per quanto ci possa essere una piccola percentuale di maschi che riconosce il proprio ruolo è ancora troppo piccola per serrare la bocca a chi immagina ancora noi donne come un costo all’interno di un’azienda, che incide sul fatturato e sulla crescita.
Noi vorremmo essere libere di scegliere cosa fare, come farlo e quando farlo, vorremmo essere libere di scegliere campi di guerra o corsi di matematica senza che nessuno ci guardi con sospetto, lo dobbiamo a chi ha lottato per noi ed alle nostre figlie e nipoti. Quando una società non è matura per comprenderlo, dovremmo essere megafono delle nostre istanze, senza paura, senza illusione, senza timore del giudizio, senza doverci in qualche modo accontentare. Noi mi sorprenderebbe se qualcuno mi dicesse, che in realtà rivendico cose che già esistono, che il mondo è nostro, che sediamo nei posti di responsabilità, che ci dipingiamo il volto da vittime, ma che in realtà siamo carnefici, Erinni che schiacciano il maschio e che lo fanno sentire una appendice inutile. Mi viene da sorridere e mi sento di dire che ahimè non è così, noi rivendichiamo il sacrosanto posto nel mondo come esseri umani, sulla base di scelte che sono le nostre senza che qualcuno ci dica, dove sederci e quando incrociare le gambe o quale abito sia più adatto.
La discussione sulla interruzione della gravidanza, sulla maternità surrogata, sulla possibilità di rivestire ruoli di guida in società private o pubbliche riguarda soprattutto noi e deve tenere conto di quello che pensiamo, non possono essere gli altri ad attaccarci etichette che non riconosciamo. Se tutto questo è ancora oggi parte di dibattito vuol dire che le nostre madri hanno lottato inutilmente, e che il cammino è ancora lungo e pieno di ostacoli. Il femminismo ha ancora una ragione precisa di esistere e non va vissuto come lotta per la supremazia di un genere sull’altro, ma come oggettivo riconoscimento in una società fatta tra pari e per i pari, in ogni sua espressione.
Alle parole di quella imprenditrice avremmo dovuto rispondere noi, con durezza ed intelligenza, avremmo dovuto reagire nei luoghi di rappresentanza in cui sediamo, nelle imprese, nelle famiglie, nelle scuole. Fossi stata una insegnante ne avrei parlato ai miei allievi, avrei cercato di far capire loro quanti passaggi mancano ancora al traguardo, ma se come accade in politica ci limitiamo alla invettiva sui social, abbiamo perso in partenza. Forse è il caso di comprendere che senza partecipazione attiva ai processi, continueremo a fare dissertazione che sono pura pratica ideologica che hanno poi poca applicazione pratica. Ci hanno insegnato ad essere concrete e dovremmo rimboccarci le maniche e cominciare a dimostrarlo ogni istante della nostra giornata. Io rivendico il sacrosanto diritto di essere una donna libera, fatelo anche voi senza vergogna.
La vita non è facile per nessuno. Ma che importa? Dobbiamo avere perseveranza e fiducia in noi stesse. Dobbiamo credere di essere dotate per qualcosa e questo qualcosa dobbiamo scovarlo.