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di Maria Rusolo
Una estate particolarmente pesante, con un Paese spazzato dal vento di burrasca che trascina tutto con se e, da incendi che cancellano tutto quello che l’uomo ha costruito depredando la natura, ed in mezzo tra uno spritz ed un bagno a mare, con una sdraio ed un ombrellone più vicino possibile all’acqua per il quale si deve fare un mutuo, un treno, un treno che va a Foggia e che genera una polemica.
Un casino per la verità, su cui si sono gettati affamati i sapientoni dei social per raccontare la propria o per ripescare la vecchia categoria del radical chic, che legge il libro di Proust in lingua originale e che ha nella propria borsa niente di meno che una copia cartacea di un giornale. Cosa abbia suscitato tutta questa indignazione io mica l’ho capito, ho letto e riletto il piccolo resoconto di Elkann e mi sono detta caspita è accaduto anche a me, e mica solo su di un treno.
Tutte le notti per chi vive al centro di una città, d’estate è tutto un urlo ed uno sganasciamento, tra bottiglie rotte, balli e canti sino alle quattro del mattino, ed onestamente passi che io sia radical chic, ma che lo sia anche mia madre, mi pare un po’ troppo. Il problema è un non problema, che si voglia negare l’assenza di cultura, il dominio di un linguaggio misogino e pieno di sfumature non propriamente politicamente corrette, o che si voglia negare che ad una certa età si viva aldilà di un certo rispetto delle regole del vivere civile, mi sembra volersi foderare gli occhi di prosciutto. Quello che è a dir poco penoso e fuori di logica poi è voler scomodare il classismo, voler dire che il Povero Elkann di nobili natali e pieno di denari abbia quell’atteggiamento perché abituato a viaggiare in auto di lusso e, che pertanto non sopporta e non tollera il povero comune abitante del popolo.
Tutto diventa lotta di classe, ed invece è a mio parere classista chi crea questa contrapposizione, come se il non borghese, o la casalinga media italiana non avrebbero potuto alle medesime condizioni, nelle medesime circostanze rilevare gli stessi eccessi sguaiati di quei giovani ormonati, preoccupati dell’acchiappo facile di qualche pollastra ( pare che il termine giusto e trendy sia questo). E’ no cari miei, oggi per fortuna il buon gusto, la coscienza civile, l’emancipazione culturale e sociale, viva Dio non sono legate al censo, alla appartenenza di classe ed anche un operaio metalmeccanico avrebbe potuto scrivere le stesse cose, anche se con se avesse avuto la Gazzetta dello Sport.
Non si deve avere la Barca, o andare a Capalbio per poter pensare liberamente che certi atteggiamenti fanno schifo e che sono più diffusi di quanto si voglia ammettere anche con se stessi, perché se non si trovasse una qualche giustificazione si dovrebbe accettare che quella generazione è figlia di una comunità che non ha saputo educarla, per la quale non vi sono stati modelli di riferimento, a cui si sono propinati governi volgari e sboccati, e luoghi istituzionali fatti di urla e di qualunquismo, a cui si è dato come possibile futuro quello del reality show dove ci si agita sotto le coperte dinanzi ad una telecamera.
La volgarità è diventata costume diffuso, la misoginia, il sessismo, l’offesa gratuita, medaglia da appendersi al petto. Si è affossata la scuola e la possibilità di crescere in una società felice fatta di parità e di individui liberi di scegliere e di autodeterminarsi, dove il più fragile è lasciato solo ai margini e divorato dalla solitudine e dallo sconforto. La narrazione è quella che avrebbe potuto fare chiunque passasse una serata nel centro di una città qualunque in Italia, rabbia e sconforto, e piuttosto che capire, approfondire, si ridicolizza chi legge, chi approfondisce, chi ha una visione del mondo diversa. Si è lasciato che il seme della bruttezza e della omologazione attecchisse ovunque, e c’è onestamente poco da ridere o stigmatizzare il signore dai capelli bianchi, non è lui fuori dal tempo, non è chi osserva e chi non si adegua il problema, ma chi ne fa ancora ed ancora una battaglia di classe, tra ricchi e poveri, come se la scostumatezza fosse solo delle periferie o delle catapecchie.
Mentre il treno diventa metafora della eterna lotta tra la cultura bassa e quella alta, qui i diritti si vanno a far benedire ed i giovani, quelli capaci se ne vanno, lasciano un paese che non li educa, non li istruisce, non da’ loro lavoro, non consente loro di vivere liberamente il proprio orientamento sessuale, di costruirsi un legame stabile e duraturo. E mentre i treni passano, le stazioni scivolano veloci dal finestrino, tutto affonda lentamente nella non speranza, nella cancellazione di ogni aspirazione. Mi piacerebbe un giorno scrivere di un viaggio nel quale tutti seduti in attesa che il percorso si compia, i miei vicini abbiano tra le mani una copia di Proust, Zola, Verga, Maupassant….a che sciocca radical chic!
“Tutto ciò di cui hai bisogno in questa
vita è ignoranza e fiducia, poi il
successo è assicurato.”