Il ” sistema ” Italia ha dimenticato i fragili e i malati

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di Maria Rusolo

“Uno dei principi della nostra organizzazione, che spieghiamo al personale medico e paramedico disposto a partire con noi, è semplicissimo: “Non si va nei paesi del cosiddetto ‘Terzo mondo’ a portare una sanità da Terzo mondo. Un ospedale va bene quando tu saresti disposto, senza esitazione, a ricoverarci tuo figlio, tua madre, tua moglie”.

I nostri Politici hanno mai pensato a quello che Gino Strada riassume in queste poche battute parlando della qualità del Servizio Sanitario? Evidentemente no, siamo per eccellenza il Paese nel quale ” lo scavalco” consente a chi ha i cosiddetti Santi in Paradiso di sfuggire alle maglie della inefficienza, per cui si preoccupano poco di ciò che li circonda. Io invece che nelle storture, nei ritardi, nelle inadempienze ci vivo a stretto contatto non posso non sentirmi sobbollire il sangue quando scorgo cose che non vanno e che potrebbero con un po’ di attenzione essere gestite meglio.

Qui non parliamo di piccoli effetti collaterali, ma di un sistema che non cura e non si occupa più del malato e del fragile. Una intera società creata a dimensione del Super uomo, nella quale la malattia è un incidente di percorso il cui esito è sempre certo, ma non in senso positivo. La nostra società ha visto crescere in questi anni il fenomeno della disumanizzazione delle cure, altro che attenzione ai più deboli. Siamo in una Sparta in cui solo per decoro non li gettiamo da una rupe, ma nei fatti li abbandoniamo al loro destino e con essi le loro famiglie.

Il Governo in carica parla di stanziare fondi per risolvere i vuoti esistenti in tema di tutele dei disabili, ad esempio, ma il problema, vorrei dirlo con forza, non è solo il vile denaro, ma la organizzazione dei servizi, il personale sottopagato e sfruttato, per giunta precario che non vive più il proprio impegno come una missione, ma con rammarico e frustrazione, la presenza nella gestione ai massimi livelli di nominati della politica, che rispondono alle logiche del capocchione di turno, più che alla corretta organizzazione delle attività e delle prestazioni. Intanto tutto diventa complesso, tutto diventa impossibile, e la gente viene costretta a passare da un riva all’altra dello Stige, su una zattera malmessa e che fa acqua da tutte le parti.

Si possono fare migliaia di leggi, anche scritte meglio di quelle odierne, ma occorrono controlli precisi, occorre scegliere chi guida i processi per merito ed occorre formare i giovani ed incentivarli ad un impegno di crescita professionale per se stessi e per gli ammalati. Certo che non si può umanizzare il trattamento sanitario o le procedure per legge, ma se la felicità è un diritto costituzionalmente riconosciuto negli Stati Uniti, perché l’approccio empatico non puo’ diventare un principio a cui orientare l’intero sistema sanitario? I cambiamenti però sono culturali e vanno spinti da una massa critica anche di intellettuali, a cui consiglierei un giro in qualche pronto soccorso Campano o in un reparto di psichiatria o in qualche Rems, così possono finalmente capire quanto le libertà ed i diritti siano realmente compressi nel nostro Paese.

Il mio monito rimane sempre lo stesso, parlarne, urlare fino a farsi sentire, lottare per costruire una società veramente civile, nella quale la eguaglianza sia veramente una conquista sostanziale e non più carta straccia. I nostri Padri ci credevano più di noi, forse, o forse noi abbiamo smarrito la strada che ci rende consapevoli che le debolezze siano una risorsa su cui costruire una comunità più coesa e solidale.

„Se uno di noi, uno qualsiasi di noi esseri umani, sta in questo momento soffrendo come un cane, è malato o ha fame, è cosa che ci riguarda tutti. Ci deve riguardare tutti, perché ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un atto di violenza, e tra i più vigliacchi.“

Nasco in un piccolo paese della provincia di Avellino, con il sogno di girare il mondo e di fare la giornalista, sullo stile della Fallaci. Completamente immersa, sin dalla più tenera età nei libri e nella musica, ma mai musona o distante dagli altri. Sempre con una battaglia da combattere, sempre con l’insolenza nella risposta verso gli adulti o verso chi in qualche modo pensasse che le regole non potessero essere afferrate tra le dita e cambiate. Ho sempre avuto la Provincia nel cuore, ma l’ho sempre vissuta come un limite, una sorta di casa delle bambole troppo stretta, per chi non voleva conformarsi a quello che gli altri avevano già deciso io fossi o facessi. Decido di frequentare Giurisprudenza, con il sogno della Magistratura, invaghita del mito di Mani Pulite, ma la nostra terra è troppo complicata, per non imparare presto ad essere flessibile anche con i sogni e le speranze, per cui divento avvocato con una specializzazione in diritto del lavoro prima e diritto di famiglia poi, ma anomala anche nella professione e mal amalgamata alla casta degli avvocati della mia città. La politica e la cultura , i cuori pulsanti della mia esistenza, perché in un mondo che gira al contrario non posso rinunciare a dire la mia e a piantare semi di bellezza. Scrivo per diletto e per bisogno, con la speranza che prima o poi quei semi possano diventare alberi.