di Christian Sanna
Cosa resterà di questi anni ’80 cantava Raf sul palco del Festival di Sanremo del 1989. Forse la scia di profumi sensuali opulenti e persistenti, quando bastavano poche gocce per profumare tutta la stanza e, a testimonianza di abbracci avvenuti, le sciarpe avevano l’odore intenso mascolino e stallatico di Kuros o Jules e seduttivo ed ipnotico di Poison e Paris. Gli anni ottanta furono caratterizzati dal Made in Italy che spopolava nel mondo, il culto per il corpo e uno stile audace eccessivo e colorato. Pantaloni di pelle, jeans strappati, giacche con grandi spalline. Come dimenticare la moda dei capelli cotonati per aumentare il volume e la consistenza della chioma, i programmi musicali della domenica come Superclassifica Show e Discoring, i Duran Duran, i Pet Shop Boys, i paninari. Senza cellulare e col telefono fisso al centro della casa, perchè a quel tempo i genitori controllavano le chiamate e le cabine telefoniche a gettoni in strada, c’era forse più poesia o semplicemente resta il ricordo dolce di un periodo che abbiamo vissuto e che ci rimanda ai nostri anni migliori, a quel tempo in cui sogni e speranze si facevano spazio fra paura, entusiasmi ed illusioni. Chi come me ha vissuto quel periodo fa, inevitabilmente ogni giorno, i conti con le proprie nostalgie e cerca di risalire il tempo attraverso i ricordi con la visione di un film, l’ascolto di una canzone o più magicamente, senza passare per un Petern Pan imbiancato, leggendo i fumetti e guardando i cartoni animati di quel periodo d’oro che credo irripetibile. Da ragazzino sognavo di essere Haran Banjo: bello, ricco, fascinoso, ironico, eroico e conteso da due donne meravigliose. Immaginavo di guidare il Daitarn III e di salvare la terra dall’attacco dei Meganoidi.
Con un pò di fortuna, ma soprattutto con l’aiuto del sole ce l’avrei fatta. Poi, avrei cambiato il finale e a battaglia vinta non me ne sarei rimasto da solo nella grande villa, mentre tutti gli altri tornavano alle loro case e alla loro normalità. Forse avrei scelto Reika per la sua eleganza, i suoi capelli rossi e la sua timidezza e saremmo stati felici insieme come nelle favole dove il lieto fine è quasi un obbligo morale. Come dimenticare le canzoni di quei cartoni animati, piccoli gioielli musicali pieni di grinta e voglia di vivere e di divertirsi: Gigi la Trottola, Carletto il principe dei mostri, il Grande Mazinga, Devilman, L’uomo Tigre, Lamù e tanti altri.
Quei cartoni animati non solo erano fatti benissimo, ma avevano trame anche complicate: psicologiche, cervellotiche, zeppe di riferimenti filosofici ed anche di messaggi subliminali. In fondo, a pensarci bene i fumetti e i cartoni animati li leggono e li vedono anche e soprattutto i ragazzi piccoli, quindi sono destinati ad un pubblico molto giovane, ma chi li crea è sempre un adulto e un adulto difficilmente, per quanto si sforzi, riesce ad avere un tipo di comunicazione totalmente priva di preconcetti e quindi non contaminata dalla proprie esperienze.
Nessuno, tuttavia, potrà mai negare che certi fumetti e cartoni animati ci hanno fatto letteralmente sognare, sorridere, innamorare. In un certo senso, in questo articolo ho voluto risalire il tempo, tornare per lo spazio di una lettura, ad un periodo felice della mia vita e ho pensato di chiedere a chi è un esperto della materia, un profondo conoscitore di Manga ed Anime, il Prof. Clemente Marino. Clemente Marino è anche un talentuoso disegnatore che per l’occasione ha donato a me e al giornale per cui scrivo Il Domenicale, alcuni disegni che si intonano a meraviglia con questo articolo. Di seguito le mie domande a cui il Prof. Marino ha risposto, senza sottrarsi. con garbo competenza ed in maniera approfondita.
Come mai i protagonisti dei cartoni animati giapponesi non hanno mai gli occhi a mandorla, anche quando la storia è ambientata in Giappone?
E’ una domanda a cui molti hanno già provato a rispondere, offrendo risposte spesso molto fantasiose…una risposta molto comune è quella che gli autori giapponesi tendano, quasi inconsciamente, ad occidentalizzare i propri disegni, per un’innata aspirazione ai modelli della cultura americana o europea. E’ innegabile comunque l’influenza dell’animazione americana ed europea sul Giappone, soprattutto dal punto di vista tecnico: questo, insieme con una maggiore capacità espressiva di queste produzioni, avrà influito sui disegni degli anime che, con il passare del tempo, tendono però ad assumere caratteristiche proprie ed uniche. Infatti i protagonisti degli ultimi anime presentano occhi rotondi e di grandezza smisurata su un viso sempre più piccolo, circondato da fluenti chiome colorate che vantano, appunto, numerosi tentativi di imitazione a loro volta. Quando però il tratto o l’argomento dell’anime è più realistico, ecco che diventano molto più evidenti i caratteristici occhi a mandorla, come accade anche in molto manga quali Kamui Den(L’ Invincibile Ninja Kamui) di Shirato o Crying Freeman di Koike e Ikegami, dove le origini dei protagonisti sono evidentemente asiatiche…insomma il tratto o la forma degli occhi non impedisce agli autori giapponesi di trasmettere, tutta la loro splendida, affascinante cultura, sempre presente in ogni fotogramma o tavola.
Clark Kent (Superman), Adam (He – man), il giovane Takeshi (Hurricane Polimar), Peter Parker (L’Uomo Ragno) sono solo alcuni esempi di personaggi dall’identità segreta che però nella quotidianità, quando non vestono i panni dei supereroi, appaiono individui goffi, insicuri, timidi. Qual è il messaggio che si intende lanciare? Ci può illustrare altri personaggi dall’identità segreta con un alter ego dal carattere opposto?
Per molto tempo il concetto di supereroe era sinonimo di invincibilità, personaggi dal fisico imponente che troneggiavano sui poveri miseri mortali. In alcuni casi, come per Superman e He man, la somiglianza fisica è impressionante eppure nessuno riesce, nelle loro storie, a riconoscerli. L’alter ego goffo confonde chi osserva, che non va oltre l’apparenza e non riesce a notare quello che in fondo è presente in ognuno di noi, l’eroe appunto: questo è il messaggio che vale per molti supereroi e soprattutto nel caso di Peter Parker vale il la massima coniata dal sorridente Stan Lee, supereroi con super-problemi. Peter è spesso senza soldi e non può pagare l’affitto o comprare i rullini per la sua fidata macchina fotografica, unico mezzo con cui riesce a sopravvivere e non è insolito per lui presentarsi in redazione con ancora in faccia i segni di una scazzottata con Octopus o Kingpin: è qualcosa di reale, concreto e tutti possono immedesimarsi con lui e con i suoi problemi. Questo non gli impedisce di trovare il coraggio di affrontare minacce spesso più forti di lui e questo non dipende solo dall’aver acquisito super poteri ma dall’essere un eroe a prescindere.
Oltre Spiderman, chiacchierone ed irriverente a differenza del pavido Parker, ci sono altri esempi di eroi le cui identità segrete differiscono molto dalla loro immagine: basti pensare a Barry Allen, in perenne ritardo che nessuno immaginerebbe essere il velocista scarlatto Flash o Jack Rider che si trasforma nel folle the Creeper, il mite Bruce Banner che nessuno assocerebbe al furioso Hulk, il dottor Donald Blake, tra l’altro zoppo che diventa il possente Thor, dalla loquela altisonante, Yu che si trasforma nella cantante idol Creamy, più grande d’età o May che con un incantesimo diventa la magica Emy, irriconoscibile o infine Linn che grazie alla tecnologia aliena del polipo Takoro diventa l’invincibile Muteking, per ritornare al mondo degli anime.
I manga sono i fumetti giapponesi, mentre gli anime sono i cartoni animati, di solito tratti dal manga stesso. Funziona come con il film e il romanzo da cui è tratto? In molti casi, i lettori giudicano il film non all’altezza del libro. Ci può indicare alcuni esempi in cui manga ed anime sono sullo stesso livello?
Il processo tramite il quale un manga diventa anime è spesso lungo, ed è legato alla notorietà dell’autore: un disegnatore spesso esordisce come assistente di un autore più famoso già affermato. I ritmi di pubblicazione dei manga infatti è serrato: una nuova serie manga viene spesso inserita, all’inizio, in grosse riviste contenitore a cadenza settimanale e da qui nasce la necessità per ogni mangaka, che spesso scrive anche le storie oltre che a disegnarle, di avere più disegnatori come assistenti che possono così farsi le ossa. Se un manga raggiunge la giusta popolarità allora viene promosso ad anime e l’autore viene coinvolto direttamente nella sua realizzazione: questo rende gli anime quasi sempre fedeli realizzazioni, conservando lo spirito dell’opera originale e riuscendo a migliorarne le qualità. Personalmente trovo il tratto della prima serie dell’Uomo Tigre migliore del manga, come anche per i Cavalieri dello Zodiaco: l’apporto del veterano dell’animazione Shingo Araki, che ha nel suo curriculum anime come Goldrake, Rocky Joe e Lady Oscar, ha migliorato moltissimo il tratto, a volte un po’ rude, di Masami Kurumada. Va detto che sia gli anime che i manga sono pensati per un pubblico che va dall’adolescente all’ adulto e che in Giappone sono considerati quindi non semplice intrattenimento per bambini come invece è stato per molto tempo in Italia ma intrattenimento di un certo livello…
Nella divertente serie d’animazione C’era una volta Pollon la protagonista ripete una specie di filastrocca su una pozione magica che sembra risolvere ogni problema e mettere di buon umore “Sembra talco ma non è, serve a darti l’allegria, se la lanci e la respiri serve a darti l’allegria”. Come mai nei cartoni animati sono nascosti messaggi subliminali? Può citarne altri?
Come dicevo già nell’altra risposta molti manga ed anime sono concepiti per un pubblico di adolescenti o ragazzi e non per bambini: in Italia nonostante le maestranze di altissimo livello come Bruno Bozzetto o Nino Pagot si è sempre considerato i cartoni animati un prodotto esclusivamente per bambini e con questo principio sono stati spesso censurati moltissimi anime negli adattamenti italiani. Così come in Pollon ma anche in Lupin III, Sailor Moon, Georgie, Mila e Shiro, i Cavalieri dello Zodiaco molti evidenti riferimenti sessuali sono stati ridotti a vaghe allusioni dai tagli di intere sequenze e doppiaggi ad arte: se in originale Mila aveva il ciclo mestruale, nell’edizione italiana fa un brutto sogno; alcuni villains di Sailor Moon cambiano sesso da donne ad uomini ma in Italia invece chiamano le sorelle gemelle e così via…non c’è taglio che tenga pur di poter mandare in onda l’anime…no, scusatemi, il cartone animato in fasce orarie protette, segno evidente di un’arretratezza culturale purtroppo portata avanti da troppi anni…
Spesso sia nei fumetti che nei cartoni animati i personaggi cattivi risultano più interessanti dei buoni. A cosa è dovuto?
In molti generi dell’intrattenimento e della cultura popolare, fin dai primi film di animazione targati Disney, i “cattivi- villains” hanno acquisito una dimensione ed uno spessore sempre maggiore, arrivando ad offuscare il protagonista. Non si può negare che il male ha sempre esercitato un grande fascino: molte storie sarebbero insipide e banali senza i cattivi, gli antagonisti che fanno pendere l’ago della bilancia se non del tutto dal loro lato, perlomeno lo fanno pendere verso il centro…potrei stare a parlare per molto tempo dei cattivi e della loro presenza negli anime: cosa sarebbe il Grande Mazinga senza il Generale nero e il suo variopinto esercito, Jeeg senza l’Impero Yamatai, Haran Benjo senza i Meganoidi, Yattaman senza il trio Drombo, Muteking senza i Fratelli Piovra, l’Uomo Tigre senza Tana delle Tigri, Luke senza Darth Vader, l’agente Starling senza il dottor Lecter, James Bond senza Blofeld e la sua Spectre, Star Trek senza Klingon o Romulani, Batman senza Joker, Spiderman senza Goblin, Superman senza Lex Luthor? Mi fermo altrimenti l’elenco sarebbe lunghissimo ma sia che non abbiano un’origine o motivazioni ben evidenti (come il Blofeld dei romanzi che lo fa per “lavoro” o il Joker di Heath Ledger , che vuole solo…”…veder bruciare il mondo…”), o che siano stati spinti a diventare cattivi( Anakin Skywalker/Darth Vader, il Joker di Alan Moore da Killing Joker, Ozymandias da Watchmen, Dottor Inferno di Mazinga Z) se ci sono è sempre meglio: la storia ha più sapore ed è più scorrevole, ci spinge a vedere come andrà a finire e soprattutto, in alcuni momenti ci porterà a tifare per lui, per il cattivo, l’escluso, lo sfortunato, il reietto…dopotutto se ci può essere un eroe in ognuno di noi, ci potrà essere anche il cattivo, no?
Sono cresciuto guardando Mazinga Z, Daitarn 3, Jeeg Robot d’acciao, Trider G7, Voltron, Vultus V God Sigma ed altri. Negli anni settanta ed ottanta il vasto campo degli anime accolse il genere fantascientifico robotico individuato con il termine mecha. Fu un successo clamoroso lungo almeno un ventennio. Dopo il periodo d’oro che tipo di evoluzione c’è stata?
Senza dubbio la serie che ha fatto da spartiacque è stata Kado Senshi Gundam: prima i robot erano quasi onnipotenti, vere e proprie divinità inarrestabili, che potevano vantare scorte infinite di energia missili, armi e così via. Con Gundam invece le cose erano diverse: ispirato da un famoso romanzo di fantascienza americano, Fanteria dello Spazio di Robert Heinlein dove per la prima volta viene usato il termine Powered Suit per descrivere le tute corazzate usate dai protagonisti, il robot poteva esaurire le riserve di energia, i proiettili, poteva essere danneggiato e quindi richiedeva una certa tattica in combattimento. E’ innegabile anche l’influenza di 2001 Odissea nello Spazio e di Star Wars nell’anime: basti pensare alle colonie spaziali o alle saber/ spade laser usate dal mecha. Comunque da quel preciso momento le serie robotiche cambiarono e parecchio: i robot erano mezzi, un po’ come un carrarmato o un aereo caccia e quindi subentrava molto la capacità del pilota ad usarlo. Non bastava saltare a bordo e sparare missili alla cieca ed evocare un pittoresco colpo finale alla Daitarn 3(Attacco Solare, Energia!! o Aquila di Trider!!) ma bisognava saperci fare. Ma il genere robotico cambiò ulteriormente solo negli anni novanta con la serie Neon Genesis Evangelion: per affrontare gigantesche (quindi kaiju di gozzilliana memoria) entità denominate Angeli si fa uso di robot altrettanto giganteschi, gli Evangelion appunto che non sono proprio robot ma esseri creati in laboratorio, cloni giganteschi di questi stessi angeli e che possono essere controllati solo da alcuni particolari piloti, che possono entrare in sincronia con gli Evangelion. Spettacolare la città e come è organizzata per affrontare gli Angeli: i palazzi rientrano nel pavimento e alcuni contengono le armi usate dagli Eva e se durante il combattimento il “robot” stacca il cavo dell’alimentazione, dopo pochi minuti si spegne…tantissime idee per una serie anime spettacolare ed unica che ha raccolto il testimone del genere robotico, riuscendo a rinnovarlo e ad adattarlo ai tempi, anche se ha sofferto di un finale controverso e, a mio avviso, troppo criptico.
Quali sono i suoi fumetti e cartoni animati preferiti e perchè?
Per me non è facile rispondere a questa domanda: non ho mai avuto un genere preferito in assoluto ma ho sempre amato leggere, guardare e ascoltare di tutto e per questo devo ringraziare i miei genitori. Infatti è grazie a loro che ho cominciato a leggere fumetti Marvel (i Corno di mio padre) ma non solo: Disney, fumetti sudamericani (Lanciostory e Skorpio), Bonelli (Martin Mystere), fumetti francesi(Asterix) insomma un po’ di tutto quello che veniva pubblicato all’epoca fin quando poi cominciarono ad arrivare i manga anche in Italia e quindi…Come spesso rispondo, mi piace tutto quello che è ben fatto ma prediligo i generi maschili per intenderci, niente fumetti romantici o shojo…
Cosa resterà di questi anni ’80 cantava Raf sul palco del Festival di Sanremo del 1989. Forse il ricordo di un periodo felice, di un amore mai dimenticato, di una canzone che ci faceva battere forte il cuore, di una festa in cui la ragazza che ci piaceva accettò il nostro invito a ballare. Di certo, ci sono rimaste dentro tantissime emozioni e i nostri fumetti da leggere e cartoni animati da guardare anche ora che siamo adulti, affinchè dentro non si spenga mai quel desiderio di pensare che un sogno, a qualsiasi età, è ancora possibile.
A cura di Christian Sanna con la collaborazione di Clemente Marino