Se sei italiano dovresti oramai esserci abituato. Eppure ogni tanto quel vizietto tentatore che porta a sbirciare il prato del vicino, che per forza di cose è sempre più verde, lo abbiamo conservato. Sentiamo dire spesso e volentieri che all’estero è diverso, che all’estero le cose funzionano meglio; sarà vero oppure no, rimane in piedi il tragico pensiero che in Italia siano troppe le cose a non quadrare.
Il disastro del Mose di Venezia, le paralizzanti difficoltà di Alitalia e i catastrofici problemi ambientali dell’Ilva sono solo alcuni esempi di un Paese sempre più diretto verso il capolinea. Burocrazia, corruzione e mafia, incapacità di politici, amministratori, sindaci e governatori hanno regalato all’Italia tutto questo; e tra la non curanza generale e la disattenzione perpetua si sta mettendo a repentaglio il futuro dell’intero Paese.
Un’opera di ingegneria idraulica unica al mondo come il Mose, dopo quasi 40 anni e 6 miliardi di euro spesi tra lavori e tangenti, ancora non è terminata. Nessuno è sicuro di quando finirà e soprattutto se servirà effettivamente a salvare la laguna veneta dalle inesorabili inondazioni che ciclicamente colpiscono questo lembo di terra.
Stesso discorso vale per Alitalia: anni e anni di scelte sbagliate, una girandola di amministratori capaci solo di ottenere lauti stipendi e liquidazioni milionarie. Senza tuttavia risolvere il più annoso dei problemi, quello occupazionale. Eppure ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che nessun altro concorrente interrverrà in maniera seria nella compagnia di bandiera fino a quando non verranno ridimensionati i numeri dei dipendenti, numeri gonfiati da assunzioni clientelari nel corso dei decenni.
E ultimo ma non ultimo l’ex Ilva. Ormai quasi chiusa, dopo la comprensibile scelta di Arcelor Mittal di non investire più in un complesso industriale devastato da una emergenza ambientale senza pari.
Trovare dei colpevoli in queste circostanze serve a poco; la questione è che tutti noi italiani, per svariati motivi, siamo responsabili di quello che sta accadendo.
Il tempo della riflessione è terminato, ora bisogna agire. E per farlo dovremmo avere il dignitoso coraggio, per una volta, di palesare in maniera inequivocabile che il Bel Paese è anche un posto di grande incapacità e che un rinnovamento della classe dirigente si rende oggi la soluzione più necessaria.