Lo scorso giovedì si è tenuta l’assemblea pubblica organizzata dall’Arci Napoli per “fare chiarezza” in merito alla situazione dei migranti minori ospitati nelle case di prima accoglienza da loro gestite. E le virgolette sono d’obbligo se per fare chiarezza non si era pensato di portare all’assemblea i ragazzi, veri protagonisti della vicenda, e se, quando invece chi come noi si è presentato lì con una parte di quei ragazzi, è stato ostacolato all’entrata: rispetto ai minori, è stato fatto un tentativo di non farli entrare, adducendo argomentazioni risibili, cioè che in quanto tali, i minori non possono partecipare ad un dibattito pubblico, e a noi sono stati chiesti i documenti di riconoscimento, da parte di un avvocato che però, in quanto tale, non aveva evidentemente nessun diritto di farci questa richiesta. Le ragioni per cui i minori non potessero partecipare all’assemblea e noi dovessimo essere identificati restano sconosciute, o meglio, sono facilmente immaginabili se si considera lo spettacolo indegno a cui abbiamo dovuto assistere.
Dirigenti, avvocati, responsabili ed operatori dell’Arci, chiamati all’occasione, sono stati schierati per mettere in scena la loro difesa, mirata a dimostrare al pubblico che possiedono tutte le prove che il progetto sia stato rispettato alla lettera, e dunque la falsità delle accuse altrui. Poco importa se, dopo aver fatto fatica per far prendere parola ad uno dei ragazzi, quelle parole siano risuonate come una denuncia della violazione di qualsiasi principio basilare del rispetto della dignità umana, denuncia di una condizione che niente ha a che vedere con il sistema perfetto ed impeccabile descritto da chi è lì per difendersi. Poco importa se i ragazzi denunciano condizioni per le quali spesso non hanno cibo (uno di loro ha anche esibito un video registrato la mattina stessa che mostrava un frigo completamente vuoto), non hanno assistenza medica, non hanno supporto psicologico, non hanno vestiti, non svolgono alcun tipo di attività. Poco importa se dichiarano di aver visto una sola volta durante i loro sei lunghi mesi di permanenza la psicologa che invece pubblicamente dichiara di conoscerli benissimo. E, ancora, poco importa se conoscono e riconoscono lì davanti a loro operatori dell’Arci dai quali, dichiarano, hanno ricevuto promesse, bugie ed inviti, per niente velati, ad andare via dalle case qualora lo volessero.
Eppure risulta che il “Progetto Terra: le radici dell’integrazione”, finanziato nell’ambito del Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione Assistenza Emergenziale 2014-2020 per la cifra di euro 741.894,00, preveda, oltre al soddisfacimento dei bisogni primari quali fornitura di cibo, vestiario, assistenza sanitaria e psicologica, la “realizzazione di attività rispondenti ai bisogni e alle aspirazioni dei minori finalizzate soprattutto allo sviluppo della loro autonomia ed una “reale” inclusione nel tessuto sociale del territorio, attraverso laboratori di socializzazione, linguistici e culturali; creazione spazi di incontro e mediazione dei conflitti; attività ricreative e manipolative; attività sportive; cineforum; creazione spazi di aggregazione tra minori immigrati e italiani”. Nulla di tutto ciò, secondo quanto dichiarano i migranti, è mai stato fatto. Ma l’unica risposta dell’Arci, di fronte alle loro dichiarazioni, è che essi, in quanto disperati ed arrabbiati, mentono.
In questo caso ci viene da chiederci perché i ragazzi, se fossero contenti del loro soggiorno presso le case dell’Arci, dovrebbero lamentarsi. La risposta dell’Arci a quest’argomentazione, ovvero che i ragazzi sono disperati perché ci sono da troppo tempo, non sta in piedi: se fossero trattati bene, la loro unica richiesta possibile potrebbe essere quella di essere trasferiti in strutture di seconda accoglienza (come previsto dal progetto), ma non avrebbero elementi tali da giustificare “disperazione e rabbia”.
Noi eravamo lì con loro per dare loro voce e per stare loro accanto, come da oltre un mese stiamo facendo, a partire cioè da quando, durante un’iniziativa tenutasi a Terranostra, alcuni ragazzi hanno spontaneamente preso parola per denunciare pubblicamente la propria condizione. È a partire da quel momento, dunque, che siamo stati continuamente al loro fianco ascoltandoli e provando a capire meglio la realtà e le nostre possibilità d’intervento, anche avvalendoci dell’aiuto di persone che da tempo lavorano per migliorare la situazione dei migranti come Yasmine Accardo, attivista dell’associazione Garibaldi 101 e referente sui territori per la campagna LasciateCIEntrare. Abbiamo ascoltato chiunque volesse testimoniare e condividere le proprie verità sulla condotta dell’Arci; abbiamo dato l’opportunità ai ragazzi di svolgere attività all’interno dello spazio di Terranostra per dar vita realmente a quel processo di inclusione a cui il progetto ufficiale mira; tra le attività abbiamo lanciato un corso di italiano per migranti che mira ad innescare un processo di scambio mutualistico tra noi ed i ragazzi; abbiamo presentato loro la possibilità di rivolgersi ad altre strutture per sopperire alle mancanze dell’Arci in tema di assistenza sanitaria. Molti dei ragazzi denunciano che di fronte alle loro manifestazioni di disagi fisici, anche gravi, l’Arci avrebbe risposto con indifferenza e silenzio.
Il polverone sollevato negli ultimi giorni dall’articolo comparso su “La Repubblica” al momento sembra essere servito unicamente ad accelerare il processo di trasferimento dei ragazzi da queste case definite “di prima accoglienza”, in cui sarebbero dovuti rimanere fino ad un massimo di 60 giorni (con la possibilità di un’eventuale proroga di 30 giorni), ed in cui invece sono da circa sei mesi, alle strutture di seconda accoglienza. Questa sembra essere la soluzione auspicata comprensibilmente dagli stessi ragazzi, ormai esausti, esasperati e completamente sfiduciati. Noi crediamo, invece, che questa non sia la soluzione. Innanzitutto perché vanno accertate le responsabilità di chi viene accusato di atti gravissimi, dunque della veridicità delle affermazioni dell’una e dell’altra parte. E chiediamo che chi ha sbagliato, rendendosi protagonista della speculazione e della strumentalizzazione che imputa invece a chi è arrabbiato e reclama la verità, paghi.
Crediamo inoltre che la semplice sistemazione di questi ragazzi in altre strutture non rappresenti la soluzione ad un problema che riguarda l’intero sistema di quello che viene a ragione definito come il “business dell’accoglienza”. Ci auspichiamo che la loro futura sistemazione sia realmente degna e consona ad ospitarli.
Ma ci auspichiamo altrettanto che parta da qui, dalle nostre realtà, un ragionamento serio ed efficace sulle misure e le forze che si possono mettere in campo per proporre un’alternativa reale che parta dal basso al sistema di accoglienza istituzionale. Vogliamo porre l’attenzione sul fatto che questo caso non rappresenta un errore del sistema ma ne è una sua diretta manifestazione. È dunque contro questo sistema che bisogna lottare, un sistema che favorisce l’inserimento di speculatori ai danni di chi ha il diritto ad una degna esistenza in un mondo che continuiamo a rivendicare e a volere senza barriere e senza frontiere.
Nessuno è illegale!
Terranostra Occupata, Scuola di migranti Nablus, Scaccomatto