Affinale, smaltiti i primi quindici secondi di insofferenza, il concetto stesso di sputtanapoli (taccio consistenza della parola, veramente una chiavica) mi fa venire l’orticaria. In sostanza, di sputtanapoli io me ne fotto, sarò un ganglio degenere di questa città ma proprio non riesco a interessarmi alla cosa: possiamo serenamente ammettere, credo, che da queste parti teniamo, purtroppo cose sublimi e merda terminale; in misura maggiore, l’una e l’altra cosa, di qualsiasi altro posto al mondo, e mi si scusi il qualunquismo becero e vagamente d’accatto.
Rapina a Insigne. Ora, Insigne è, come noto, il più forte calciatore italiano, al momento. Dunque è giusto parlarne, eccome Se è giusto. Rapina, non furto, attenzione. Esposto, purtroppo, a questo tipo di disavventure, e in una città che detiene, purtroppo, un record storicamente inattaccabile di rapine a mano armata (non altro, ma rapine a mano armata eccome). Una vicenda di merda, simile, per carità, ad altre avvenute (con minore frequenza, inutile scavare il cascione) in passato. Una cosa, intendiamoci, che pare sceneggiata da mano oltreumana per consentire ghirigori e arabeschi a professionisti dell’equazione facile. Il figlio di Napoli brutalizzato dal ventre che lo ha allevato. Lo sberleffo del rapinatore che gli chiede il gol dedicato. L’appiattimento moralistoide tra i tempi di Maradona e i tempi di Insigne, tra la totemizzazione e la pistola.
Figuriamoci se il Tg1 del napoletano milanista Orfeo si lascia sfuggire l’occasione di ricamare reticenze, occultamenti, stravolgimenti, sostituzioni (Cavani per Lavezzi, una sciocchezza che ha un autentico sapore poetico, di raffinatezza alessandrina). Insomma, un cocktail shakerato con virtuosa abnegazione tra incompetenza e malafede.
In definitiva, il TG1 è una chiavica, altro che canone in bolletta enel. Però, mamma mia, apriti cielo con il solito permanente partenopeo vittimismo preventivo, una cosa in cui i napoletani sono altamente specializzati.
1. Icardi a dicembre ha subito rapina analoga finita nel silenzio (non è vero: Se ne è occupata, ad esempio, Striscia la Notizia, che ha pubblico numericamente superiore e più attento) 2. Non se ne deve parlare troppo in giro, e che cos’è (e qua entra in gioco un fatto culturale su cui passo oltre per carità di patria).
La tesi del chiagnazzarismo in servizio permanente effettivo è: quante cose belle teniamo, loro, i fetenti che complottano contro di noi, che ci sputtanano, ci vilipendono, di denigrano, non ce le hanno e stanno inguaiati, anzi peggio di noi. Non tengono il mare, volete mettere? e che palle con questa storia del mare.
No, non è così. Ma una volta è l’arbitro, una volta Platini, una volta il sole 24, una volta il tg1 (et pour cause), e noi? Non sarà che i luoghi comuni sono comuni perché traggono origine da qualcosa? da Andreuccio da Perugia (1349), a la Pelle (1949) Napoli è insieme merda e a una pletora di cose uniche al mondo. È difficile, certo, ma accettare di essere luogo di contraddizione produce anche tanta Bellezza. Trovo invece vagamente radical, condito da un pinzimonio di romanticismo frevaiolo, lasciarsi irretire dai luoghi comuni, Sorbillo Vesuvio Maradona e tanta umanità e tanto cuore. Tutte cose che sono nel mio sangue, ma conviventi more uxorio assieme alla coscienza della morte che aleggia ogni giorno a tre chilometri da casa mia.
Ma su questo, incredibilmente, il NapoletanoPerbene piange, da casa sua, notte e dì.
Rileggiamo: “Nell’arco di centinaia di anni Napoli ha elaborato una raffinatissima strategia del a lamentazione. Per ellenizzare potrei dire che laggiù abita un popolo logolamentazionale. Secondo i napoletani, la colpa di tutte le catastrofi e di tutto il male, una volta è di san Gennaro, una volta del Vesuvio, una volta degli Angioini, una volta dei tedeschi, una volta del terremoto e una volta degli americani, una volta del a Prima guerra mondiale e una volta del a Seconda, una volta del a Cassa per il Mezzogiorno, un’altra del a classe politica, una volta del Nord e la volta appresso del colera. Ecco, la colpa è sempre di una terza persona o di un’altra cosa. I napoletani si credono innocenti. Innalzano il loro canto lamentevole contro il destino, si fanno la ninna nanna da soli e si addormentano.”
Io credo che si può vivere da innamorati di Napoli ma al tempo stesso rimanere più realisti del re, dunque voler bene a Napoli per davvero proprio in quanto se ne percepiscono le incredibili zone nere, accanto alla bellezza infinita che dona. Ma lo stato edenico Se lo tenesse chi pensa di viverlo, con sua buona ventura.
Mi viene in mente, nemmeno io so perché, “L’albergo dei poveri” di BenJelloun. Napoli è il Museo Madre e la pistola in faccia a Insigne, è la sezione egizia e il primato nazionale nelle rapine a mano armata (non i furti, le rapine), è Pino Daniele e i trasporti elefantiaci. È TUTTO INSIEME. Essere orgogliosi della meraviglia che sappiamo essere, dei tesori che ereditiamo e che ci sforziamo di far riemergere dall’incuria, della reviviscenza identitaria orgogliosa e dinamica, non può esimerci dal prendere atto della statica, nera resistenza di ciò che non siamo, e ciò che non vogliamo. Esiste. Sconfiggiamolo, non ignoriamolo e non sottovalutiamolo, ché ci condanniamo al suicidio assistito. Con l’ottimismo della volontà, e pure dell’intelligenza, ovviamente.
Ah. c’è un solo vero atto di sciacallaggio, lo ha operato un candidato a sindaco, che, cavalcando l’onda con destrezza degna di miglior causa, ha immediatamente reso la rapina a Insigne un vessillo-simbolo di una campagna elettorale zoppicante e incerta.
Insigne. Insignis pectore et armis.