di Mirko Torre
Si è riaccesa negli ultimi giorni la fiamma di un conflitto che scuote il medio oriente ormai dal secolo scorso. Quella tra Palestina e Israele infatti è una guerra che fino ad ora non ha ancora trovato una risoluzione, nonostante gli innumerevoli tentativi negli anni da parte delle organizzazioni delle nazioni di placare gli animi tra le due fazioni.
Storicamente, i problemi tra palestinesi e israeliani cominciarono al termine della Seconda Guerra Mondiale, quando l’ONU approvò la cosiddetta “partizione della Palestina”, di fatto concedendo alle centinaia di migliaia di ebrei sopravvissuti all’olocausto un territorio dove poter vivere, dividendo la regione palestinese in due stati distinti, uno arabo e l’altro ebraico.
Il popolo palestinese si mostrò contrario, vista la pretesa ebraica di nominare come propria capitale Gerusalemme, città considerata santa sia dai palestinesi, sia dagli ebrei. Appena nel 1948 la comunità ebraica dichiarò l’indipendenza dello Stato di Israele, la Palestina con l’appoggio della Lega Araba attaccò il territorio ebraico, uscendo comunque sconfitta da questo conflitto. Israele vinse tutti gli scontri successivi, fino all’invasione del Libano per distruggere le basi militari dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).
Si arrivò a una parvenza di pace solo nel 1993 con gli accordi di Oslo, con la stretta di mano tra il primo ministro israeliano Rabin e il leader dell’Olp Arafat, che insieme crearono l’Autorità Nazionale Palestinese, un organismo di auto-governo intento appunto a governare i territori della Cisgiordania e della striscia di Gaza, in attesa di una vera e propria pace. Questo tentativo di pace però non vedrà mai la luce, lasciando spazio anzi a un turbine di violenza e morte che a partire dagli anni 2000 si è di nuovo scatenato sui due popoli.
La situazione non è cambiata e anzi, con le organizzazioni militari (Hamas e Hezbollah su tutte) che acquisiscono potere giorno dopo giorno, la guerra sta prendendo pieghe sempre più pericolose.
Proprio Hamas ha scatenato una pioggia di missili su Tel Aviv che ha scosso l’opinione pubblica nei giorni scorsi, con Israele che già in queste ore sta rispondendo con forza sulla Striscia di Gaza. L’evento che ha scaturito l’attacco missilistico di Hamas è un’operazione di sfratto da parte del governo di estrema destra israeliano, nella parte est di Gerusalemme, popolata per lo più da palestinesi.
La violenza non deve mai essere giustificata, ma non si può fare finta che non ci siano state continue provocazioni da parte di Israele nei confronti di Hamas, che forse non aspettava altro per poter fare la propria mossa.
Non è semplice decidere di chi delle due sia la “colpa” di questi continui conflitti, delle migliaia di morti e città rase al suolo, perché vorrebbe dire giustificare l’una o l’altra fazione. Quello che però possiamo fare, è analizzare gli eventi armandoci soprattutto di buon senso. E’ sotto gli occhi di tutti che stiamo parlando di una guerra impari, sia sotto il profilo militare, sia sotto quello delle vittime.
Il governo israeliano si è sempre difeso dalle continue accuse, affermando di aver solo reagito agli attacchi missilistici palestinesi, ma come al solito la verità sta sempre nel mezzo.
Netanyahu – primo ministro israeliano – non si è mai tirato indietro nel rilasciare dichiarazioni a favore di questa guerra, anche in diretta televisiva, seppur mostrandosi sempre vittima e mai carnefice, nonostante la linea dura attuata nei confronti dei palestinesi da quando è in carica. Anche l’ONU ha condannato più e più volte Israele per aver violato alcuni principi dei diritti umani più importanti con le azioni politiche e militari intraprese in questi decenni.
La mia personale opinione è che questa guerra non vedrà la propria risoluzione, finché le organizzazioni mondiali non prenderanno una posizione ben precisa, e non aiuteranno realmente le due fazioni a stabilire una pace che possa accontentare tutti, nell’interesse soprattutto delle popolazioni civili colpite duramente.