di Alessandro D’Orazio
Un’analisi delle alternative possibili alla risoluzione della questione.
E’ di recente notizia il protrarsi di violenti scontri lungo il confine tra la striscia di Gaza e lo Stato di Israele. A partire dallo scorso 30 marzo è iniziata infatti la marcia del Ritorno, evento volto a commemorare il settantesimo anniversario dell’esproprio delle terre arabe da parte dello Stato ebraico. Nell’occasione sono stati numerosi i manifestanti palestinesi morti negli scontri con l’esercito israeliano, così come il numero dei feriti (circa 1.000).
Questo evento è però solamente l’ultimo di una infinita serie di bagni di sangue perpetrati, con triste alternanza, su entrambi i fronti. La motivazione principale degli scontri è da individuarsi nel controllo amministrativo dei territori contesi, risalente al lontano 1947 (anno in cui l’Onu approvò un piano, mai digerito dalle parti, per dividere l’area tra Palestina e Israele). Le conseguenze del conflitto si sono così protratte fino ai giorni nostri con un susseguirsi di un numero impressionante di occupazioni militari e atti di guerriglia.
Tali eventi non hanno fatto altro che acuire le ostilità tra le due parti, oltre ad aver favorito la nascita di fazioni estremiste, che rifiutano ogni compromesso e mirano alla distruzione del rivale. Una deriva questa, che ha fatto dissolvere ogni possibile spiraglio di pace.
Possibili vie di risoluzione del conflitto sono state individuate, nel corso degli anni, in tre alternative. La prima soluzione prevederebbe la cancellazione dei confini interni dei due Stati e la creazione di un Paese pluralista in cui convivano israeliani e palestinesi. Un’ipotesi complicata soprattutto per una questione demografica: la popolazione araba sarebbe nettamente superiore, in termini numerici, a quella ebraica e, visti i trascorsi storici, farebbe di tutto per affermare la propria identità. La seconda soluzione, sostenuta dalle fazioni più estremiste (tra cui Hamas e le frange di destra dei coloni israeliani), sarebbe la distruzione di una delle due parti in causa mediante il ricorso al conflitto bellico. Cosa decisamente da evitare. La terza, e probabilmente unica alternativa in grado di garantire la pace, consisterebbe nella definitiva creazione di due Stati autonomi: uno palestinese e uno israeliano.
Fin quando però non esisterà ufficialmente un confine riconosciuto a livello internazionale tra le due realtà e non verrà chiarito lo status della Palestina, considerata da alcuni governi un Paese indipendente e da altri (tra cui Usa, Germania e Regno Unito) un insieme di territori sotto l’occupazione israeliana, quante ancora saranno le vite da sacrificare?