di Alessandro D’Orazio
Nel corso degli ultimi anni le cronache nazionali hanno spesso evidenziato una escalation del fenomeno dei roghi di rifiuti; una situazione sempre più allarmante in considerazione delle oramai note difficoltà da parte delle discariche italiane nel contenere gli ingenti quantitativi di spazzatura altrimenti da smaltire.
Ciò che normalmente si verifica sembra seguire, in tali circostanze, un iter standardizzato e parimenti dannoso: dapprima il nauseabondo odore di bruciato nell’aria, poi la scoperta dei luoghi ove i roghi divampano (molte volte innescati in orario notturno), successivamente l’impiego di personale specializzato per lo spegnimento degli incendi ed infine il monito da parte delle amministrazioni locali di tenere chiuse nelle ore rasenti l’emergenza le finestre di casa, oltre ad evitare di respirare i maleodoranti fumi provenienti dalla stessa conflagrazione. “Mediamente negli ultimi 3 anni sono bruciati quasi 300 siti di stoccaggio dei rifiuti. Prima non accadeva. C’è qualcosa di strutturale”, ha recentemente dichiarato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa.
A ben vedere, però, il fenomeno di cui si dibatte sembrerebbe far parte di una catena di eventi che ha tappe e cause ben precise. Da qualche tempo, infatti, la Cina pare che abbia fermato le importazioni di rifiuti plastici, generando in tal modo notevoli problemi di smaltimento in tutto il mondo (Italia compresa).
Il nostro Paese si è sempre affidato all’esportazione verso la Cina, oltre a ricorrere agli inceneritori, quale cardine della propria filiera di smaltimento. In Europa, però, già nel 2007 – con la direttiva UE 98/2008 – si cercava di preferire una politica fondata sugli impianti di riciclaggio e compostaggio locali, a cui difficilmente è stato dato seguito. I rifiuti che transitano per la filiera nazionale, infatti, vengono spesso stoccati in capannoni industriali o stabili abbandonati e dati poi alle fiamme.
L’Italia è per questo rimasta notevolmente indietro rispetto all’UE, anche a livello di consapevolezza diffusa. Le cicliche emergenze a cui si è abituati, minano gravemente la sicurezza e la salute della popolazione, causando un accumulo di inquinanti sia nel terreno che nell’aria. Il fenomeno in questione, che ben si collega con altre dinamiche collusive – business delle “ecomafie” in primis – potrà trovare uno sfogo naturale tramite il ricorso a nuove tecnologie sperimentate nel corso di questi ultimi anni in molti Paesi occidentali. Di tutto questo e di molto altro, se ne parlerà però più diffusamente nel corso dei prossimi appuntamenti.
prima parte