di Gianluca Spera
Qualsiasi considerazione sull’attuale profonda crisi del Napoli non può prescindere da un’analisi seria delle strategie, o presunte tali, di ADL.
Da anni l’obiettivo della SSC Napoli è solo di carattere economico-finanziario. La squadra è una vetrina per i prezzi pregiati da vendere al migliore offerente. La parola d’ordine è ridurre i costi e massimizzare i profitti, con un unico risultato sportivo da non mancare: la qualificazione in Champions per aumentare ulteriormente gli introiti.
Nessun investimento è stato mai previsto, né per le strutture né per la squadra. Se si vende bene, poi si compra con una quota dei ricavi. Non ci si assume certo il rischio d’impresa, non si prova mica a competere per un risultato importante.
Come non dimenticare i mirabolanti acquisti di Grassi e Regini quando eravamo in testa nel primo anno di Sarri. Come cancellare dalla memoria il non mercato di gennaio di due anni fa quando eravamo a un passo dallo scudetto. Il Napoli non aveva nulla da riparare e, infatti, arrivò secondo.
Allora non c’è da stupirsi che tutto questo, evidentemente, mal si concilia con il rendimento della squadra che, dalla cessione di Lavezzi in poi, ha sempre perso qualche elemento importante, additato poi come nemico del popolo per giustificare le dolorose perdite.
Con la complicità di chi avallato quest stato di cose, magnificando il padrone, rinnegando il passato e disprezzando tutto il resto fino a tracimare nell’autolesionismo.
“Il Napoli è l’unica cosa che funziona a Napoli”. La principale fesseria spacciata per verità solo per compiacere ADL e costruire una narrazione con cui spaccare la tifoseria.
Perciò, oggi non ci sto a unirmi a questa nuova caccia alle streghe che espone i calciatori al pubblico ludibrio (più che altro per preparare le cessione di Callejon e Mertens già a gennaio), omettendo di indicare i veri responsabili di questo disastro. A iniziare proprio da ADL le cui dichiarazioni improvvide su marchettari, gioielli da cedere e altre bestialità, hanno scatenato la tempesta che si stava preparando da tempo. Da metà ottobre in poi si è innescato un perverso meccanismo di autodistruzione di cui non si vede la fine.
L’altro colpevole è sicuramente Ancelotti che da solo si è inflitto un’umiliazione senza precedenti, accettando qualsiasi diktat societario, spacciando un mercato modesto per eccezionale e schierando una squadra senza né capo né coda. È stato il primo a non aver rispetto del suo curriculum, delle coppe e dell’autobiografia scritta con Alciato.
È frustrante, peraltro, prendere atto che il Napoli è imploso proprio nell’anno in cui la Juve ha rallentato in campionato. Ed è altrettanto doloroso accertare come questo lento ma inesorabile andazzo abbia eroso e infine ucciso la passione (non il tifo che è cosa diversa).
Perché, alla fine dei conti, questo è il pallone: passione, emozione, anche sogno.
Tutto questo non c’è più, sostituito da bilanci e propaganda, menzogne e retorica, chiacchiere e plusvalenze.
Il Napoli di ADL può andar bene ai freddi ragionieri, ai Savonarola da tastiera o a qualche pseudo intellettuale in cerca d’autore e visibilità, non a chi ha ancora un’idea romantica del calcio, non a chi ricorda le gesta dei suoi eroi in maglia azzurra più delle tristi estati dimaresi o delle esternazioni trumpiane del presidente.
Perciò, la soluzione nel breve periodo è cambiare allenatore. Nel medio-lungo periodo, cambiare proprietà checché ne dicano i catastrofisti.
State sereni, il Napoli sopravvivrà pure ad ADL. E ai suoi malinconici adulatori.