di Gianluca Spera
Com’è distante Dimaro. Come sono lontani i tempi in cui De Laurentiis e Ancelotti raggianti e affiatati, durante il pirotecnico summer festival di metà luglio, annunciavano acquisti roboanti, promettevano una squadra stellare e con una certa audacia avevano sdoganato la parola “scudetto” solleticando l’immaginario collettivo.
Sembrava un mondo perfetto quello di ADL e Carletto, la coppia inossidabile che nessuna critica avrebbe potuto scalfire. Il treno per Yuma era già in stazione atteso dalle folle adoranti e da taccuini adulanti da cui traboccavano elogi e celebrazioni. Erano già pronte le maglie di James Rodriguez. A breve sarebbe sbarcato anche Icardi. Sui social, i seguaci del presidente randellavano, con la consueta foga da far invidia a Salvini o alla Meloni, chiunque si permettesse di mostrare scetticismo o muovere qualche obiezione rispetto a quel clima carnevalesco. “Sta nascendo il Napoli più forte di sempre”. Forse non lo sarebbe stato nemmeno con James e Icardi per evidenti ragioni storiche.
Tuttavia, oggi molti tifosi del Napoli vivono di amnesie, son pronti pure a rinnegare il passato pur di imporre il loro punto di vista e insistere in una ingiustificata forma di ottimismo oltranzista. Peccato che questo mondo favoloso, perfetto, incontaminato sia imploso miseramente già a inizio novembre e che la narrazione estiva si sia rivelata inconsistente.
Laddove c’erano sorrisi complici e pacche sulle spalle, oggi ci sono sguardi torvi, livore, atteggiamenti vendicativi, minacce di carte bollate. La questione è nota: martedì sera, dopo il deludente pareggio casalingo di Champions, i calciatori del Napoli si sono ribellati al ritiro imposto dalla società e hanno disatteso la decisione di De Laurentiis.
Ora, al di là delle ricostruzioni postume e dei retroscena piccanti sulla cui attendibilità si può anche dubitare, quello che è certo è che i conflitti interni covavano da tempo e ne sono una testimonianza lampante i risultati negativi di inizio stagione, nonché l’incredibile involuzione del gioco espresso dalla squadra di Ancelotti e le stesse dichiarazioni del presidente che pubblicamente aveva definito “marchettaro” il giocatore simbolo della squadra.
In questi casi, è sempre arduo distribuire le percentuali di responsabilità. Un fatto è acclarato: la rosa si è rivelata incompleta e imperfetta, e un allenatore abituato a guidare squadre di top player non riesce a trovare la quadratura del cerchio.
Probabilmente, il nodo gordiano è a monte: si è stravolto un modulo consolidato che era stato il fiore all’occhiello di un Napoli spettacolare, poi per giunta privato di pedine fondamentali come Albiol, Jorginho, Hamsik. Oggi il Napoli non vince e non convince: è diventato noioso, pachidermico, accidioso. Alcuni giocatori sono irriconoscibili, altri hanno la valigia pronta da tempo, i nuovi innesti non si stanno rivelando affidabili come si credeva.
Perciò, quello che si può imputare a un tecnico così blasonato è di aver avallato le strategie societarie, di essersi mostrato un irreprensibile aziendalista quando c’era da instaurare un rapporto dialettico con il presidente, di aver sopravvalutato le capacità della rosa a disposizione o di averle magnificate con colpevole anticipo.
Se il calcio è bugia, come diceva Benitez (la cui seconda stagione ricorda in maniera inquietante il calvario di quella in corso), è altrettanto vero che i risultati sono incontrovertibili e non consentono più di bluffare. Perciò, scaricare la colpa soltanto sui giocatori, farne prettamente una questione disciplinare (e a quanto pare anche economica con richieste di risarcimento già annunciate), assumere un atteggiamento draconiano non aiuterà a venir fuori dal labirinto borgesiano in cui si è cacciato il Napoli di De Laurentiis. Anche perché, se si fallissero gli obiettivi stagionali, il danno sarebbe incalcolabile.
In questo senso, epurare (o cedere) i vari Mertens, Callejon già da gennaio, senza aver pronti dei sostituti adeguati, rischia di rivelarsi il più clamoroso degli autogol. Preannunciare già adesso le partenze di Allan, Koulibaly e Insigne può segnare la fine anticipata di una stagione nata tra i coriandoli e le trombette di Dimaro e che rischia di trasformarsi in una lenta agonia.
In questi casi, l’assenza di un dirigente che possa mediare e intervenire nello spogliatoio esplode in maniera drammatica e le domande nascono più che spontanee. Perché martedì sera a interfacciarsi con i giocatori vi era il figlio del presidente e non il presidente in persona o Giuntoli? In quei frangenti che ruolo ha avuto Ancelotti, prima delegittimato sulla decisione del ritiro e poi, a buoi scappati dalla stalla, investito di pieni poteri? Il ritiro è stato deciso per motivi organizzativi o con intenti punitivi? Tutte domande di non poco conto che il comunicato ufficiale del Napoli non ha chiarito, lasciando spazio all’interpretazione e, in alcuni casi, anche all’immaginazione. Oltre a rilanciare la palla nel campo di Ancelotti sospeso tra due alternative insidiose: decidere sulla prosecuzione del ritiro che già aveva bocciato o revocarlo e quindi legittimare in qualche modo l’ammutinamento dei suoi giocatori. Una posizione abbastanza scomoda quella del tecnico a cui De Laurentiis aveva promesso amore eterno e che adesso è sulla graticola come e più dei giocatori.
Per sapere come continuerà questa stagione ci vorrebbero doti divinatorie. Per ora, il sogno scudetto è rimasto chiuso in uno dei cassetti dell’albergo di Dimaro, addirittura la qualificazione per la prossima Champions League sembra una chimera con una squadra così a pezzi e un ambiente tanto avvelenato e diviso. Il futuro non può che essere quanto mai incerto, adesso che si sta archiviando un’epoca esaltante e ne sta nascendo una nuova la cui alba fosca assomiglia già a un grigio tramonto.