Con la partita dell’altro giorno a Genova, si è concluso il campionato del
Napoli.
Uno dei più emozionanti della storia recente del Napoli.
Uno dei più belli, conclusosi in maniera diversa da come avevamo sognato
e, senza falsa modestia, da come avremmo meritato.
Perché questa squadra gioca un calcio a tratti imbarazzante.
Senza a tratti.
Imbarazzante.
La partita è iniziata da 30 secondi, Reina per Koulibaly, poi Ghoulam,
Koulibaly, Hamsik, Ghoulam.
Tutto di prima.
Palla a Insigne, tunnel a metà campo ai danni di un anniversario.
Zielinski porta palla e poi allarga su Callejon.
Cross di prima, l’azione sfuma.
Mio fratello mi guarda e fa: “O mischiamo le squadre, o li devastiamo!”
Li devastiamo, anche oggi.
Da questi dettagli bisogna ripartire.
La sensazione è comune a tutti, nessuno provi a negarlo.
Nessuno provi a dividere ciò che Sarri ha unito, soprattutto.
Sono soltanto tre mesi, poi si riparte.
Sarà una dura astinenza stare lontani da cotanta bellezza, mentre le voci di
mercato proveranno in tutti i modi a destabilizzare un ambiente che è
compatto più che mai verso un obiettivo che non appare più così
utopistico.
E mentre questo limbo ci accoglie in attesa di un preliminare di
Champions che andrà giocato con una squadra già pronta mentalmente e
già necessariamente ritoccata, oggi inizia una nuova vita per un uomo che
ha segnato un’intera generazione calcistica.
Di parole se ne sono dette tante, se ne diranno ancora.
Grazie, Francesco.
E non per gli assist clamorosi, per i gol meravigliosi, per il rigore
all’Australia, per la pazzesca visione di gioco, per il tuo modo di calciare.
No.
Non per questi motivi.
Ma perché quello striscione diceva il vero: “
Del calcio moderno hai vinto
la più grande
battaglia
. 25 anni con la
stessa maglia!”
Sei il simbolo di un calcio che non esiste più se non nei cuori e nelle menti dei romantici.
E si può pensare di insultarti anche in un giorno così solo si è ottusi.
O meglio, solo se la mente è obnubilata dal gusto di vincere piuttosto che
dall’amore verso il gioco del calcio in quanto tale.
Perché io ti odio, in quanto avversario.
Ma ti odio anche perché uno come te, un simbolo così, nato nella terra
della squadra per cui gioca e per cui tifa da bambino, ancora non lo
abbiamo visto davvero.
Anche se pure ieri, a Genova, sono successe cose che lasciano
intravederne altre.
Ma lasciamole lì, per ora.
E di nuovo e per sempre grazie, Francesco.
Perché in campo ci sono avversari, mai nemici.
Tranne i non colorati.
Ma questa è un’altra storia.
Una storia che ieri si è per un attimo interrotta.
Per riprendere tra tre mesi, da dove ci eravamo lasciati.
Da dove ci eravamo lasciati, Napoli.
Non un passo indietro.