La giustizia sommaria all’epoca dei social network

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Le platee virtuali, da tempo, disseminano di livore le pagine dei vari social network, si assiste attoniti al campionato mondiale di chi la spara più grossa, una lotta barbara tra giustizieri assatanati. L’ultimo caso in ordine di tempo è quello relativo alla drammatica vicenda di Vasto salita agli onori delle cronache nazionali. Come ha scritto giustamente Mattia Feltri su La Stampa, solamente un pazzo o la capacità di penetrazione psicologica di un genio come Dostoevskij potrebbero insinuarsi nei meandri della mente dell’uomo che ha ammazzato un giovane di 21 anni il quale, qualche tempo prima, gli aveva investito la moglie per un imperdonabile negligenza provocandone la morte. Adesso, spetterà esclusivamente al Tribunale emettere il suo verdetto su quella che si può definire la terza vittima di questa tragica escalation.

Però, qualche osservazione va riservata al contesto malato che ha alimentato il cortocircuito in cui a un omicidio accidentale si è sommato un altro crimine, questa volta voluto, caldeggiato e, perfino, fomentato da parole irresponsabili, urla scomposte di fuorilegge che pretendono giustizia senza conoscere il diritto. “Claque di morbosi che ha alimentato il sentimento di vendetta”, ha dichiarato il Procuratore di Vasto.

Inneggiare a un assassinio o istigare un crimine, compiuto a sangue freddo e che non ha nulla a che vedere con l’altra tragedia che lo ha provocato – nel senso che non può fornire alibi, esimenti o attenuanti -, è un modo selvaggio di manifestare un pensiero distorto, degno solo di una società tribale, priva di codici, procedure, tribunali e avvocati, che si lascia amministrare dalla legge del taglione ed eleva il boia solitario a giudice inappellabile, a demiurgo con diritto di vita e morte sulle persone. Una società nella quale un soggetto che ha ucciso senza volerlo merita la pena di morte e il suo giustiziere una medaglia.

La Giustizia, d’altronde, s’è dimostrata più volte imperfetta. Esemplare a questo proposito, sarebbe la visione di una serie tv straordinaria, “The night of”, che evidenzia, in maniera impietosa, come la verità processuale sia cosa ben diversa dalla realtà dei fatti, quasi una chimera anche quando gli indizi, o addirittura le prove indirizzano le indagini in una direzione apparentemente univoca. Figuriamoci quando, invece, le cose si rivelano più complicate fin dal principio. Insomma, la ricostruzione di un crimine è faccenda complessa e rigorosa.

Se, poi, parliamo della Giustizia italiana, è arcinoto che, più di altre, soffre di mali endemici, ritardi, inefficienze, incongruenze ma, al di là di quello che funziona e quello che funziona meno che scatena queste reazioni scomposte, la vendetta, a qualsiasi latitudine, è la negazione di ogni forma di Giustizia, è il trionfo delirante dell’odio cieco sulla razionalità della norma, è il ritorno degli individui a una condizione primordiale in cui pure il celebre concetto hobbesiano, homo homini lupus, è destinato a degenerare in qualcosa di diverso, in una sorta di linciaggio collettivo.

Ergo, chi utilizza le piazze virtuali per indurre altri a perpetrare un crimine s’avvicina all’apologia di reato, la sfiora o, forse, la supera. In ogni caso, favorisce una progressiva decadenza di ogni forma di convivenza civile. La Giustizia deve mantenere la giusta distanza dai fatti ma pure dai sentimenti perché è solo la norma, l’interpretazione rigorosa dei precetti e la loro prudente applicazione a determinarne il corso e le decisioni.

Occhio per occhio e dente per dente, tuttavia, l’Italia è diventata una cloaca giustizialista dove le armi improprie sono mouse, tastiere e parole in libertà di cui non si riesce più a comprendere la potenziale pericolosità. Un Paese nel quale, per dirla con Schnitzler, “l’odio diventa codardo, se ne va mascherato in società e si fa chiamare giustizia”.

 

Gianluca Spera, classe 1978. Di professione avvocato da cui trae infinita ispirazione. Scrittore per vocazione e istinto di conservazione. I suoi racconti “Nella tana del topo” e “L’ultima notte dell’anno” sono stati premiati nell’ambito del concorso “Arianna Ziccardi”. Il racconto “Nel ventre del potere” è stato pubblicato all’interno dell’antologia noir “Rosso perfetto-nero perfetto” (edita da Ippiter Edizioni). Autore del romanzo "Delitto di una notte di mezza estate" (Ad est dell'equatore)" Napoletano per affinità, elezione e adozione. Crede che le parole siano l’ultimo baluardo a difesa della libertà e dei diritti. «L'italiano non è l'italiano: è il ragionare», insegnava Sciascia. E’ giunta l’ora di recuperare linguaggio e ingegno. Prima di cadere nel fondo del pozzo dove non c’è più la verità ma solo la definitiva sottomissione alla tirannia della frivolezza.