La guerra è la culla della malvagità

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di Claude De Bray

Lo avete notato anche voi che fino a qualche mese fa la capitale dell’Ukraina che ora si pronuncia e si scrive Ukraine si chiamava Kiev e ora si chiama Kìv.

Potenza dell’informazione e dei giornalisti che ci fanno sentire una massa di ignoranti ma che in qualche modo ci ac-cul-turano.

Perché anche l’informazione nel mondo è una guerra spietata a colpi di faziosità ed inganni, di appartenenze e giochi di potere; altro che informazione libera se poi i gradi network sono nelle mani di chi li utilizza ad uso e consumo della sua fazione.

Se qualcuno ha letto Amerino Griffini capisce dove voglio andare a parare, altrimenti vi consiglio sul web di cercare “Dialogo di Socrate con il Liberale”, sempre che ne abbiate voglia.

Però nessuno ha proferito parola su quella che ora è la Federazione Russa ma un tempo era l’Unione Sovietica e prima ancora il Grande impero Russo sorto con glii Zar ed ancora prima grazie ai Rus’.

Insomma, come tutti i popoli anche i russi hanno alle spalle fior fior di secoli di storia.

La Russia di oggi è per oltre il 70% rurale, dedita a sopravvivere tra campi di grano, e oramai abituati a tenere il capo chino allo Zar di qualunque secolo compreso quello attuale.

Però, e però, Novgorod, Stalingrado, Kìv, Odessa e poi Mosca, come il grande fiume Volga, hanno significati antichi, di popoli ed etnie che hanno fatto la storia. Sui libri di storia leggiamo di Ivan il terribile ed oggi le decine di città e metropoli resesi occidentali si contano sulle dita delle due mani. Oggi Stalingrado, passata alla storia per la più strenua resistenza durante la seconda guerra mondiale la dice lunga sulla tempra di questo popolo, è la Stalingrado che un tempo si chiamava proprio Volvograd, crocevia del fiume Volga e del Don resi comunicanti da un canale.

Poi abbiamo San Pietroburgo, posta a poche miglia dai paesi scandinavi, con la maestosità dell’Ermitage che fino a qualche tempo fa era il museo più visitato al mondo, prima Pietrogrado poi Leningrado a seconda dei periodi storici che viaggiano tra Zar e bolscevichi e poi nelle mani dei potenti segretari generali (di fatto moderni Zar) nati con il comunismo proprio secondo il concetto di Lenin. Ora molte di queste città sono state le Capitali dell’impero russo e dunque hanno significati vitali per il popolo Rus’.

Questo impero si è sgretolato come il muro di Berlino di cui ne restano a memoria le tracce.

Putin, l’attuale Zar, da tempo ha intravisto l’ingerenza dell’Europa che come si dice da noi “è trasute e sicche e se vuless mettere e chiatte “ ovvero siamo entrati lentamente per poi ergerci a colonne portanti della democrazia e della libertà e ovviamente lui, lo Zar Putin, non è proprio concorde.

Ma la Crimea prima e il Donbass dopo lo hanno certamente messo in cattiva luce ed a giusta ragione e spero che il mondo non dimentichi quando la tragedia sarà compiuta e tutti osanneremo la pace solo perché il novello Zar si accontenterà del Mar d’Azov.

Credo invece che lo spirito dell’Unione Sovietica risorga e si punti ad usurpare l’intera striscia, ottimisticamente, che colleghi anche la Crimea; non voglio pensare che tutta questa “operazione” miri a privare lo sbocco al mare dell’Ukraine e dunque prendere Odessa.

Odessa, i cui palazzi sono in buona parte nati da architetti italiani e dove una delle più belle canzoni napoletane è stata scritta non ammirando il golfo di Napoli ma proprio ad Odessa, da un uomo che guardando quel mare ed il cielo plumbeo scrisse “Che bella cosa è na jurnata ‘e sole”.

Dunque, non parliamo di “operazione”, qui non ci sono malati e nemmeno dottori, ma credo che lo Zar Putin voglia creare una striscia che dalla regione del Donbass giunga alla Transnistria, di fatto appartenente alla Moldavia.

In tal caso altro che operazione, questa è una guerra volta a cambiare completamente la geopolitica europea.

Non credo al novello zar per molteplici motivi tra cui questo scatenare quella che definisce “operazione militare” ma che di fatto è una guerra mentre avrebbe potuto benissimo chiedere alla Ukraine un patto di non belligeranza e di neutralità con un trattato in cui scrivere a chiare lettere che non sarebbe entrata nella NATO e per quanto riguarda le terre contese, in un mondo civile e democratico, sarebbe bastato un referendum, non come quello farlocco fatto in Crimea, e far decidere agli abitanti da che parte stare.

Tutte cose che avrebbero portato ad evitare questa guerra che invece lo Zar ha fortemente voluto sentitosi degradato a terza o quarta potenza mondiale; è questo il vero problema, si è sentito umiliato, trascurato, e tenuto ad uso e consumo dell’Europa che di fatto l’avrebbe annessa non geograficamente o politicamente, ma in modo subdolo come riserva di gas, petrolio e grano; di fatto uno stato servo e vassallo.

Come in tutte le guerre le persone da umane diventano disumane; basta leggere “La Pelle” di Curzio Malaparte per capire che le guerre trascinano gli esseri umani in un vortice di malvagità che altro non è che la nostra vera natura. Siamo malvagi e finanche coloro che sembrano mansueti, connessi allo spirito umanitario, dentro covano la malvagità. Non c’è alcun dubbio e lo dico da molto tempo che non è il covid che spaventa ma un virus ben più potente e ben radicato in ognuno di noi che pur latente è sempre pronto ad emergere: “il carognavirus”.

Durante tutte le guerre stupri, massacri, fucilazioni di massa, torture, sono frutto di quell’odio che si genera valicando il confine dell’umanità per giungere al malvagio.

Ma le fosse ardeatine, le foibe, i forni crematori e prima ancora le crociate fino a giungere a Caino e Abele pensate che non siano frutto del carognavirus, di quel virus che latente trasforma l’essere umano in un essere malvagio quanto spietato e intriso di odio.

Questa guerra dovrebbe insegnarci tante cose, ma la storia noi non l’abbiamo mai considerata quale monito e tantomeno lo faremo ora.

Ora, dovremmo preferire la pace e non temere di non avere l’aria condizionata, come detto da Draghi, ma come sempre, dalla notte dei tempi, troveremo un modo, troveranno un modo, anche a costo di cibarsi dei nostri brandelli, per tenerla accesa questa fottuta aria condizionata.

Siamo stati ciechi muti e sordi e abbiamo badato al nostro campo di rape ed ora fioriscono, con il senno di poi, come per il covid, generali, ambasciatori, politici, strateghi, che altro non fanno che lavarsi le mani.

Si, come Ponzio Pilato, e noi continueremo a scegliere un Barabba che si chiami Milošević, Putin, Orban, Erdogan, Netanyahu, non importa, come non importa se radono al suolo la Siria o sia il tempo dell’Afghanistan, della ex Jugoslavia, Libia, Libano, Mali o Palestina e città come Aleppo, Karkiv o un paesino qualunque.

Forse con questo abbominio, da cui non siamo scevri di colpe, impareremo la de-globalizzazione ed allora la Genova della contestazione alla globalizzazione ora ha un senso, ma avendo poca considerazione per l’umanità di questo tempo nutro atroci dubbi che il mondo capisca che ad ogni stato deve esser data la possibilità di raggiungere alcune autosufficienze e qualora esse manchino siano gli stati membri a farsene carico, magari proprio come fanno attualmente i grandi gruppi di acquisto.

Per ora, continuo a guardare la gente da lontano; temo che la guerra di chiunque abbia coscienza di sé, quella guerra che tutte le mattine facciamo per scegliere tra il bene ed il male diventi, nutrita dall’odio, malvagità e non mi va di scoprirlo guardando questi uomini negli occhi per scoprire che l’hanno persa ancora una volta questa guerra e sono soltanto lupi in cerca di un agnello qualunque.

“…ho sognato il perdono/E un soldato di vent’anni/Che sparava a un uomo/Che aspettava in piedi

Noi si chiedeva la pace/E si riceveva la guerra/Lacrime per il petrolio/Sopra tutta la terra” – Ivano Fossati.

 

Vi lascio con un pensiero scritto tanti anni, purtroppo in NAPOLETANO….

 

O viento

ca porte addore ‘e mare e a voce d’’a ggente,

stu’ viento traseticcio ca se ‘nfizze dinte é ‘nferriate

e zittu zitte se ‘nfile rinte a l’anema.

‘O viento

ca porte addore d’’a tempesta e ‘o prufumo de’ limune,

stu’ viento ca move é lenzole spase ‘o sole

e ciscanne indifferentemente t’arravoglie ‘o core.

‘O viento

cavero ca te coce ‘a faccia è fridde ca t’’a spacca,

stu’ viento

ca te porte e all’intrasatte te lassa e

se ne va.

‘O viento

ca pazzea che’ foglie e a carta straccia,

stu viento

ca se porte tutte cose,

‘e nuvole arraggiate e ‘o maletiempo

‘O viento,

ca te porte ‘a goccia d’acqua ‘e mare ca te spogne ‘a faccia,

stu’ viento

ca te secca ‘o ssale ‘ncopp’’a pelle.

‘O viento

ca nun s’arrenne mai, c’aiza ‘o mare, ‘e ccase, ‘a ggente

‘Stu viento traseticcio ca s’è purtate pure ll’aneme d’’a ggente

‘o viento ca porte l’allucche d’’e criature e d’’e femmene ca camminano sotto ‘e mmure

Stu viento ‘e famme, ‘e guerre che pava sempe…

‘a povera ggente

Nato a Napoli non ho frequentato scuole degne di tale nome. Al compimento dei diciott’anni dopo il conseguimento del diploma sono subito stato assorbito dal lavoro soprattutto per motivi di sostentamento precludendomi la cosiddetta “Laura”. In compenso ho la laurea della strada, un master in sopravvivenza e vivo tutt’ora di espedienti. Amo leggere più che scrivere ed avendo raggiunto un’età che mi concede il lusso di dire ciò che penso non percorro strade che conducono al perbenismo bensì all’irriverenza. Non amo molto questo tempo e la conseguente umanità per cui sono definito un misantropo; ciò non toglie che la solitudine non precluda l’essere socievole e come tutti i solitari le persone le scelgo; il resto le guardo da lontano, senza avvicinarmi troppo. Se è vero che ogni mattina ognuno di noi fa una guerra per combattere il razzista, il moralista, il saccente che vive in noi, non ho alcun interesse nello scoprire che qualcuno questa guerra l’abbia persa e dunque la evito. Il resto sono cazzi miei e non ho intenzione di dirvi altro altrimenti, come Sanguineti, dovrei lasciarvi cinque parole che vi assicuro non vi piacerebbero.