di Giuseppe de Silva
Niente è perduto sia chiaro. Ma è questo il primo momento di vera difficoltà del Napoli in questa stagione. Fino ad ora, sia in Champions che soprattutto in campionato abbiamo stracciato tutti con una superiorità così evidente da fare venire a noia anche le vittorie troppo “semplici”, contro avversari lontani anni luce dalla nostra forza.
E questo ci ha dato grande gioia ma ci ha anche allontanato da un compagno necessario quando si compiono le grandi imprese: il pathos. Cioè quella compartecipazione di sentimento che ti fa compagnia nella grande avventura. Quella gioiosa sofferenza che dà la vittoria conquistata con il colpo di reni all’ultimo secondo dopo aver lungamente sofferto nel testa a testa con l’avversario.
Ora in Champions, con il Milan al Maradona, possiamo colmare anche questa lacuna. Possiamo riavvicinarci alla sofferenza che dà più sapore al risultato. E possiamo colmare un’altra mancanza che viviamo, che sotto sotto necessitiamo di colmare, per rendere la vittoria più completa anche letterariamente parlando. La mancanza dell’eroe.
Abbiamo bisogno dell’eroe. Quello che fa la differenza. Quello che si carica sulle spalle la squadra, che risolve da solo, che da solo ha il colpo del ko, che sa infiammare il pubblico che lo interpreti, che lo galvanizzi, che lo conduca ai campi Elisi.
È inutile nasconderci: letterariamente abbiamo bisogno dell’eroe. È l’eroe che dà il senso alla storia. Da Omero a Joyce, da Salgari a Fleming, da Conrad a Hugo l’eroe è necessario per compiere l’impresa.
Aspettiamo l’eroe allora. Il “nostro” eroe che come letteratura vuole porta anche la maschera d’ordinanza per evidenziare ancora di più gli occhi della tigre e porta nel nome il suo destino.
Aspettiamo l’eroe, allora. Perché le imprese, tutte, per essere più belle, hanno bisogno di lui.