” Le rivoluzioni non si esportano perché nascono in seno ai popoli”
“Il mondo va come deve andare”. Mi capita spesso di sentire questa frase, all’angolo delle strade, in fila ad una cassa del supermercato, o in un bar sorseggiando il caffè. C’è una sorta di cieca rassegnazione in quelli che la pronunciano, come se tutto fosse già scritto e noi non avessimo alcuna possibilità di mutare l’ordine delle cose. Un po’ Leopardianamente, la realtà è sottoposta alle terribili leggi della natura, per cui non ci resta che seguire la corrente, e sopravvivere agli eventi, senza incidere, senza provare a cambiarli.
O forse ancora la Natura stessa crea i presupposti perché gli individui più deboli soccombano al cospetto di quelli più forti. In realtà la storia ci insegna ben altro è che la massa ha la tendenza a dimenticare facilmente, o a chiudere la mente rispetto a quello che ha vissuto, adagiandosi tra le braccia di un finto benessere sociale ed economico. La realtà che ci circonda è il frutto consapevole ed inconsapevole delle scelte che quotidianamente decidiamo di assumere, di quello che decidiamo di essere, della consapevolezza con la quale non ci pieghiamo a ciò che ci viene imposto, perché nulla è frutto del caso e noi non siamo vittime del fato.
Siamo quello che decidiamo di essere nel momento in cui accogliamo pienamente le ragioni per le quali veniamo al mondo e lo facciamo sin dalla più tenera età, quando reagiamo ad un bulletto a scuola, o rivendichiamo nel nostro piccolo spazio i nostri diritti. I diritti una parola così profondamente piena di significato di cui parliamo con troppa leggerezza, senza cogliere che essi non sono immutabili nel tempo, e che senza impegno ed attenzione costante possono sparire in un battito di ciglia.
Quelli che riconosciamo come tali sono il frutto di lotte a volte anche violente, contro un potere costituito, che non sempre ha la veste nera della dittatura o del regime assolutista, in realtà i diritti per come li conosciamo sono tanto più fragili nelle società democratiche o che si declinano come tali, nel momento in cui li poniamo in una scatola e li immaginiamo eterni, o quando seppure formalmente riconosciuti ad una generalità di individui, divengono appannaggio solo di una parte di essi. Non c’è libertà senza eguaglianza sostanziale, senza quella equità di cui tutti parlano e che invece è lontana da essere realmente la base, su cui si costruisce una reale democrazia partecipata.
La libertà di scegliere chi ci rappresenterà non ci tutela in questo senso, anzi negli anni il distacco tra chi ha la delega del potere e chi quel potere lo concede è sempre più un solco profondo nel quale ci perdiamo pezzi di comunità, ci perdiamo pezzi di un Paese sempre più solo, preda di affaristi il cui unico scopo è entrare perennemente nella stanza dei bottoni. Una fetta di popolazione non ha più riconoscibilità, vive ai margini della società e probabilmente non ha altro strumento per informarsi che la TV generalista; non legge, non può godere delle bellezze dell’arte, della cultura, dei libri, vive la istruzione e la formazione come mero obbligo, non ha la giusta struttura per poter scegliere anche di lottare, ed è quindi arrabbiata, ed è quindi sopraffatta da ciò che percepisce come necessario per la propria sopravvivenza.
Non ha il tempo per percepire altro. Questa parte di ” periferia” decadente e senza servizi non è nelle Piazze, di cui oggi tutti parlano, perché non ha speranza, è quella parte di Paese che preferisce affidarsi alla Camorra piuttosto che allo Stato, che vive sulla propria pelle la paura dello Straniero e del povero, perché non ha altre certezze a cui attaccarsi. Per cui o ci si rimboccano le maniche seriamente o ci aspettano tempi durissimi. Arriva un momento in cui fermare la disperazione è come cercare di fermare il vento con le mani.
“Una piccola insurrezione, di tanto in tanto, è una cosa buona e così necessaria nel mondo politico come i temporali in quello fisico. Previene la degenerazione del governo e alimenta una generale attenzione per la cosa pubblica.”