di Rosario Pesce
È evidente che il nostro Paese sia attanagliato dalla paura dello spread e delle conseguenze che si possono ingenerare sul mercato finanziario per effetto della sua impennata.
Chi ha già investito sul mercato obbligazionario sa bene che, nel corso degli ultimi due mesi, qualche effetto devastante si è prodotto e che lo stesso potrebbe essere, ancora, più clamoroso nelle prossime settimane, quando si teme che lo spread possa ulteriormente salire, raggiungendo quote che, negli anni scorsi, si erano considerate soglie limite per la sopravvivenza stessa del nostro Stato.
D’altronde, anche chi ha redatto la Legge Finanziaria, pur avendo sostenuto in via di principio di non tenere conto delle reazioni del mercato finanziario, non può oggi continuare in un atteggiamento che diverrebbe, altrimenti, diabolico.
La finanza condiziona l’economia di un Paese capitalistico, per cui la tenuta dei conti pubblici è la precondizione perché la situazione non crolli, con conseguenze pericolosissime sia per i piccoli risparmiatori, che per i grandi capitali, che certo fuggirebbero dall’Italia, qualora dovesse continuare la salita incontrollata dello spread.
Ma, può un singolo dato condizionare l’esistenza di molti milioni di persone?
È ovvio che può innescarsi un simile meccanismo, visto che la crescita dell’indebitamento di uno Stato e, quindi, l’aumento dei tassi di interesse vengono a rappresentare due cause essenziali per la decrescita economica di un Paese, che non è più in grado di assicurare la necessaria tranquillità agli investitori.
Forse, la decrescita può essere felice in simili condizioni?
Certo che no: nessun governante può ipotizzare di rendere un servigio alla propria nazione, favorendo l’impoverimento di chi ha, ancora, la fortuna di possedere qualche piccolo risparmio su qualche conto corrente.
D’altronde, se le religioni parlano di Paradiso celeste, come può la politica prospettare in modo sistematico l’Inferno finanziario ed economico?