di Maria Rusolo
“Siamo state amate e odiate,
adorate e rinnegate,
baciate e uccise,
solo perché donne.”
Ogni anno si afferma la retorica della celebrazione, per sensibilizzare, crede qualcuno, rispetto alla violenza umana, fisica, morale e psicologica che travolge e punisce le donne. Io trovo tutto questo stucchevole, trovo che le panchine, le pari opportunità, i nastri rossi siano l’esempio di come le dinamiche che investono le relazioni tra i sessi siano ancora ostaggio di una visione ottocentesca, chiusa in steccati che ghettizzano le donne e che assolutamente non incidono sul superamento delle dinamiche tossiche che riguardano il ruolo nella società moderna ” dell’altra metà del cielo”. Un modo per scaricarsi la coscienza per non aver investito nel superamento delle disuguaglianze e per non avere nei fatti agito per la trasformazione culturale di un Paese e di una comunità che è ancora appannaggio degli uomini.
Sono stata educata a pensare che non vi fosse differenza, se non quella anatomica, tra ” maschi e femmine”, che potessi fare qualunque cosa volessi, qualunque attività io ritenessi congeniale, e che non mi fosse precluso nessun tipo di approccio legato al mio genere. A casa mia, non si parlava al femminile, per intenderci, non mi è stato insegnato che il mio futuro fosse imposto da quelle che erano le regole che la società avesse costruito per me. Moglie, madre, donna di casa, vestale, per intenderci non dovevo saper sfornare una torta per conquistare un uomo, o non dovevo essere appetibile e ben vestita per piacere.
Mi è stato detto invece dalla più tenera età che essere competitiva era la regola, che dovevo migliorare me stessa, che lo dovevo fare non per essere un prodotto in vendita al migliore offerente, o perché fossi una sorta di vacca da vendere al mercato. Quanta differenza fa il modo in cui si educano le persone?
Quanta importanza ha un insegnante che spiega sin dalla più tenera età che il rosa non è essenzialmente per le femminucce e che i soldatini non sono solo un gioco per maschietti? Qui si tratta di superare gli stereotipi del linguaggio, dei rapporti, delle relazioni dentro e fuori le mura domestiche, e non lo fai imponendo per legge che ci siano le donne nei consigli di amministrazione o nelle liste elettorali, ma lo realizzi modificando il modo in cui ti relazioni all’altro che hai di fronte, valorizzandone capacità e competenza, lo fai se crei canali di protezione per le donne abusate, che non devono sentirsi colpevoli anche quando sono persone offese dalla lurida violenza di un maschio, lo fai se punisci chi abusa del proprio potere anche nelle parole.
Ad esempio quanti uomini politici usano termini inappropriati e quanti di essi vengono condannati pubblicamente dall’opinione pubblica e dai partiti a cui appartengono. Le donne non vanno protette, è vergognoso che ci si relazioni così al mondo femminile, io non ho bisogno di toni paternalistici ho bisogno di politiche attive che garantiscano la indipendenza economica, che non impediscano ad una donna che voglia essere anche madre di dover rinunciare al lavoro o alla carriera per esaltare la componente maschile della famiglia. Insomma agli uomini nessuno dice cosa fare e come farlo e quando farlo, vale la stessa regola per noi.
Io non devo avere paura di camminare da sola in una strada di notte perché altrimenti me la sono cercata. So bene che mi sentirò dire ancora una volta che in realtà racconto un mondo che non esiste più e che le donne sono al potere, che il mondo è loro, mi toccherà spiegare che le statistiche sono spietate, che i numeri non possono essere falsati, che le donne pagano sulla loro pelle tutti i giorni in ogni settore della vita sociale, e lo dico perché nella vita professionale ed in quella politica io con queste cose ci combatto da una vita. Ho pagato per il mio essere libera, per aver scelto strade normalmente praticate dagli uomini, per non essermi fatta trattare da oggetto sessuale, per aver respinto abusi ed avances, ho pagato perché mi sono relazionata agli uomini alla pari, come essere umano, capace e consapevole.
Ho pagato e pago tutti i giorni, e le offese si sono sprecate in questi anni, sulla mia condizione di donna che ha scelto di non avere una famiglia, che ha scelto di non avere figli, che ha scelto di lavorare con gli uomini, che non fa passi indietro mai. Se dovessi elencare quello che di me hanno detto uomini e donne, beh credo che questa nota verrebbe censurata, ma ogni volta ho reagito e l’ho fatto pubblicamente perché tutti sapessero chi si trovavano di fronte, ma non ricordo di aver avuto solidarietà dalle mie colleghe o dalle donne del partito in cui militavo, le cosiddette donne delle pari opportunità, che spesso si piegano alle logiche maschili per un incarico o per comodità. Per cui non accetto obiezioni e quello che mi sento di dire è che solo noi possiamo fare la differenza, con le nostre azioni, ogni istante della nostra esistenza, e che mi auguro che le future generazioni non debbano ancora assistere a questo tipo di celebrazioni.
“Ho giurato di non stare mai in silenzio, in qualunque luogo e in qualunque situazione in cui degli esseri umani siano costretti a subire sofferenze e umiliazioni. Dobbiamo sempre schierarci.
La neutralità favorisce l’oppressore, mai la vittima.
Il silenzio aiuta il carnefice, mai il torturato”.