di Andrea Carpentieri
Tempo fa ho letto qualcosa sul modo in cui il meccanismo di funzionamento dei social avrebbe modificato la struttura mentale stessa con la quale ci si approccia ad un contenuto: compattando, riducendo all’osso i tempi di attenzione di ciascuno.
E poi penso che si parla di vendere anche i soli highlights delle partite, perché in pochi si concentrano per 90 minuti (confesso che io stesso, spesso, mi distraggo se guardo squadre che non siano il Napoli).
E poi penso che nessuno più fra i giovani e forse anche fra i miei coetanei, celebra il rito – che tanto era praticato fino alla generazione precedente rispetto alla mia – della lettura del giornale: ricordo che quelli che io vedevo come “i grandi”, primo fra tutti il mio compianto papà, quando avevano fra le mani un quotidiano, quindi tutti i giorni perché altrimenti non si chiamerebbe così, lo leggevano dalla prima all’ultima pagina.
Oggi, invece, ci si informa per pagine isolate e condivise, per notizie spot, e chi queste notizie le pubblica si preoccupa sempre di rassicurare il lettore, attraverso l’indicazione del tempo di lettura, sul fatto che non dovrà perdere troppo tempo.
E poi penso che una volta esistevano gli sceneggiati, mentre oggi si procede per serie TV i cui episodi a volte non arrivano ad un’ora di durata.
E poi penso che, al netto della pandemia, in politica non esistono più i dibattiti, e se esistono sono ridotti a prodotto di nicchia, perché anche la comunicazione politica avviene per pillole, messaggi brevi, foto con due righe di didascalia.
Non sono un sociologo, magari ho messo insieme un sacco di banalità, cose che non hanno molto a che vedere l’una con l’altra, o magari sono banalità perché qualche sociologo, uno di quelli seri, lo ha già notato, detto e scritto cinque o sei anni fa, boh.
A me, però, dal basso dei mezzi modesti di cui dispongo per interpretare determinati fenomeni, pare che tutto si tenga, che il filo conduttore ci sia e sia pure bello teso, rigido, indistruttibile.
Questo filo, a mio parere, ci dice che la rivoluzione dei social sia la più profonda della storia umana, in quanto ha stravolto non ciò che possediamo o il modo in cui lo produciamo (penso alla rivoluzione industriale), ma ha completamente mutato ciò che SIAMO, e lo ha fatto nel momento stesso in cui ha inciso con il bisturi nel modo in cui PENSIAMO. E sì, perché credo chi ha parlato di coincidenza di pensiero ed essere non sia andato troppo lontano dal vero, sia che passeggiasse per Elea, sia che fosse nato a Stoccarda.
P.S. Non è una laudatio temporis acti, sia chiaro, bensì la mera constatazione di quello che a me pare un dato di fatto oggettivo.