Non interesserà forse a molti, o – più probabilmente ancora – a nessuno proprio; però, al colmo incontrovertibile della ormai paradigmatica misura, il sottoscritto, dopo i (mis)fatti calcistici dell’appena trascorso fine-settimana, non ce la fa, ufficialmente, più.
La sensazione (o dovremmo dire la certezza?) di assistere ogni volta, ogni anno, ad un teatrino predeterminato, con copione scritto e assegnato, e da metter solamente in scena in barba a (mi veniva di dire “fottendosene di”, ma il Direttore di questo foglio è persona troppo elegante per permetterlo) qualunque più elementare regola sportiva, sembra ormai talmente realistica che persino un incontro di wrestling americano mi appare più genuinamente autentico di una disputa calcistica della nostra serie A, quando in essa vede impegnata una certa compagine che per decenza (e non solo) neanche nomino.
Partita, giudizi, valutazioni, decisioni, in pratica gli stessi risultati finali sono già scritti prima ancora d’iniziare la contesa; le norme, cristallinamente applicate nei confronti di tutti gli altri, vengono gioiosamente ignorate quando riguardano loro, oltre che scientificamente calpestate e sapientemente interpretate in una sola direzione. A questo si aggiunge che, come evidenziato dagli ultimi episodi, questo regolamento “diversamente onesto” viene adesso applicato con ostentata supponenza, spocchiosa alterigia, brutale protervia persino davanti alle telecamere, come a dimostrare al mondo intero che essi tutto possono, che ogni cosa va piegata al loro volere, senza bisogno neanche di un finto camouflage.
Non ricorda, questa selvaggia sicumera, un modus agendi da organizzazione criminale?
A seguito dell’ennesima conseguente notte insonne, quindi, e in preda (più ancora che a una finanche legittima delusione) ad un sentimento misto di collera e ripulsa, di disgusto e sconforto, di ritorsione e intolleranza, mi sono reso conto, a cinquantatré anni appena compiuti, di non poter sopportare oltre.
E così, dopo circa quindici anni di costosa PayTV satellitare, e, soprattutto, dopo aver assistito al campionato probabilmente più bello di sempre della mia squadra, ho deciso di interrompere la mia parte di rifornimento economico a questa ridicola giostra (“sistema” è un termine fin troppo inflazionato, sebbene renda l’idea anche meglio): aspetto la fine del contratto corrente e levo via il “pacchetto calcio” (in minuscolo, direi ormai doverosamente) dall’abbonamento di cui sopra. Non elimino anche le opzioni “Sport” e “Cinema” (e l’intero bouquet satellitare, aggiungerei) perché non vi sono, al momento, reali e valide alternative, e perché la qualità tecnica (e giornalistica anche, se non si parla dell’italica pedata) delle relative trasmissioni è senza rivali (chi mi conosce sa che ho altre passioni oltre al calcio, ahimé o per fortuna); pur tuttavia, le sceneggiate del pallone nostrano non le finanzierò ulteriormente.
Sono stanco di pagare per essere preso in giro: m’imbrogliano e ringrazio, praticamente.
Che tutto questo, poi, sia nient’altro che l’archetipo dell’odierna società nazionale -amicizie, raccomandazioni, corruzione, zero meritocrazia- è altro discorso che qui non vogliamo e non possiamo -né tantomeno abbiamo la forza di- affrontare.
Ovviamente, adesso ragiono per scoramento (ci stanno riuscendo, maledetti!) e perché ci stavo rimettendo la salute (sono cardiologo e so di cosa parlo); altra cosa è la fede incrollabile per i colori della nostra terra (cosa che non potranno mai capire quelli che, inspiegabilmente, tifano per il nemico).
Onestamente, mi auguro anche di ricredermi, specie se si verificheranno in futuro fatti o circostanze convincenti.
Rimango anche nei gruppi social azzurri, continuo le amicizie virtuali e non; però chi governa il pallone, così come questo funziona adesso, non può continuare a permettersi di distruggermi la vita, oltretutto arricchendosi anche dei miei soldi.
Non è una resa, è una protesta forse, ma di più ancora, come a suo tempo cantava Gino Paoli, è una questione di sopravvivenza.
Forza Napoli Sempre.