di Rosario Pesce
Andando via dal suo Ministero, l’on. Franceschini ha dichiarato che sta per lasciare il Ministero economico più importante del Paese.
Non ha torto: in un Paese, come il nostro, ricchissimo di bellezze storico-artistiche, è chiaro che il Ministero dei Beni Culturali rappresenta (o dovrebbe rappresentare) il fiore all’occhiello delle nostre istituzioni, visto che la storia ed il patrimonio artistico sono un volano per l’economia che nessun’altra nazione al mondo possiede.
Peraltro, non si può negare che Franceschini sia stato uno dei migliori inquilini di quel dicastero, visto il grandissimo impulso che è stato capace di dare ai nostri siti, dagli Uffizi a Pompei, da Paestum ai Musei di Roma.
Ma, è altrettanto ovvio che il Paese è indietro nella cura e nella valorizzazione di tali bellezze, nonostante il lavoro compiuto dal Ministro uscente.
È indietro, in particolare, nel rapporto fra pubblico e privato nella gestione e nell’implementazione di simili ricchezze, per cui finanche la stessa pubblica opinione nazionale non sempre è in grado di intuire quanto prezioso possa essere, per l’economia, un giacimento di arte e storia come può essere un Museo o un’area archeologica.
L’Italiano medio, infatti, nelle Sovrintendenze vede ancora un nemico, l’Ente che nasce per proibire e non per valorizzare il patrimonio di un Paese intero.
È questo il residuo di una sottocultura, quella degli anni Settanta e Sessanta del secolo scorso, nata quando si riteneva che il mattone – cioè l’edilizia – fosse il volano dell’economia del Paese, per cui i vincoli, posti a difesa dei siti archeologici, erano individuati come dei freni per la crescita e la diffusione di un’industria, appunto quella dell’edilizia, che dava lavoro a molte decine di migliaia di operai, tecnici ed impiegati, per effetto dell’indotto generato.
È naturale che, nel corso degli ultimi decenni, si siano fatti degli importanti passi in avanti rispetto a tale condizione primordiale, per cui anche gli stessi tecnici hanno intuito quanto importante possa essere il restauro ed il ripristino delle nostre antichità, ma frattanto i danni sono stati prodotti.
Molte volte, in barba ai divieti delle Sovrintendenze, si è costruito dove non era opportuno che ciò avvenisse ovvero sono stati deturpati siti, che potevano incontrare ben altro destino.
Comunque, da questo punto di vista, è giusto che il nuovo Governo dia un impulso ulteriore a quanto fatto nel corso dell’ultimo quinquennio, perché le belle arti non solo sono un volano economico, ma costituiscono anche il biglietto di presentazione dell’Italia all’estero e, se non siamo in grado di curare una siffatta ricchezza, siamo colpevoli in modo grave e reiterato.
Forse, bisognerà confermare gli incarichi ai direttori stranieri che sono venuti a gestire i nostri Musei?
Forse, bisognerà implementare l’azione virtuosa fra intervento pubblico e privato?
Certo è che non bisognerà dimenticarsi delle nostre origini culturali ed artistiche, perché le belle arti sono, viepiù, un motivo di identificazione della nostra cultura e del nostro essere Italiani nel mondo, visto che sono il primo e più autentico “made in Italy” che possiamo ostentare quando viene in visita, da noi, lo straniero.