Ormai, è evidente che Pisapia non sia l’alternativa a Renzi.
Gli eventi di queste ultime settimane hanno dimostrato, in modo plastico, come l’ex-Sindaco di Milano, pur capeggiando ancora il Movimento di Articolo 1, non ha alcuna intenzione di sfidare Renzi sul piano della leadership del futuro Centro-Sinistra.
D’altronde, i numeri parlano chiaro: lo sfidante di Renzi per la guida, alle prossime elezioni politiche, dello schieramento progressista deve venire fuori dallo stesso PD e non può, di certo, essere espressione di un’identità partitica, appena costituita, che nei sondaggi non arriva neanche al 5%.
Ciò significa che Pisapia sarà determinante in altro modo, per creare le condizioni di una sconfitta renziana in fase di allestimento e preparazione delle candidature.
È ovvio che, all’interno del PD, stanno emergendo ipotesi alternative a Renzi molto credibili, una delle quali è quella di Franceschini, che può richiamarsi alla nobile tradizione cattolico-democratica, oltreché al suo ottimo lavoro di Ministro della Cultura.
In tal senso, l’operazione, che da settembre in poi verrà dispiegata, è molto chiara: creare un ampio schieramento che metta insieme il PD anti-renziano con tutte quelle espressioni della Sinistra moderata, che hanno interesse a ricreare condizioni analoghe a quelle che, nel nostro Paese, si ebbero ai tempi dell’Ulivo e della leadership di Prodi.
È pleonastico sottolineare che un simile progetto deve superare molte difficoltà: il PD, al suo interno, è ancora di stretta osservanza renziana, per cui immaginare che l’ex-Sindaco di Firenze possa essere scaricato in autunno, per far posto ad un diverso candidato allo scranno di Palazzo Chigi, appare un’eventualità improbabile, ma si sa bene che, in politica, ciò che oggi è inverosimile, può divenire possibile già il giorno successivo.
Un eventuale raccordo fra Franceschini, lo stesso Pisapia, Articolo 1 e l’area un tempo lettiana può creare le condizioni per un rovesciamento degli odierni rapporti di forza: d’altronde, una corsa solitaria del PD renziano si tradurrebbe in una sconfitta quasi certa, per cui si impone l’esigenza di un’alleanza con quanti sono di Sinistra, pur non militando più nel PD.
In tal senso, tocca agli uomini più saggi costruire un’alleanza che rimarchi quanto di buono realizzò lo schema ulivista nel corso della Seconda Repubblica, pur in assenza di un leader indiscusso, qual era allora il Professore Prodi.
La dinamica politica è sovente imprevedibile, per cui, da qui al prossimo febbraio, tutto può accadere, anche se oggi la presenza renziana appare, ancora, preponderante.
Non può sfuggire che la stessa eventuale riforma della legge elettorale può imprimere un’accelerazione sul processo di riaggregazione dell’area progressista: un eventuale premio di maggioranza, dato alla coalizione e non ai partiti, imporrebbe di ragionare entro schemi di natura ulivista.
Certo è che in gioco, questa volta, è il futuro delle nostre istituzioni repubblicane, perché un’ipotesi di ingovernabilità, all’indomani del voto, sarebbe deleteria non solo per i partiti, ma per la nostra stessa democrazia.