di Alfredo Carosella
Cosa hanno in comune alcuni tra i protagonisti di YouTube e TikTok più seguiti dai nostri adolescenti? Urlano, parlano molto velocemente e si lamentano. È facile intuire che urlino per attirare l’attenzione e creare pathos; parlare svelto è indispensabile perché si hanno pochissimi secondi per catturare un utente prima che questi decida di passare al contenuto successivo; resta da chiarire perché si lamentino. Una delle possibili risposte è che siano consapevoli di presentare situazioni nelle quali gli adolescenti si identificano facilmente: in larga parte si lagnano del padre, della madre, dell’insegnante e di altre figure stereotipate dipinte come troppo severe o antiquate, o boomer, volendo usare il linguaggio corrente.
Secondo l’Accademia della Crusca “boomer” identifica in modo dispregiativo gli occidentali nati nel periodo di forte incremento demografico registrato dopo la Seconda Guerra Mondiale: il baby boom. Si tratterebbe di una “risposta sarcastica alle critiche e alle osservazioni paternalistiche delle persone più anziane”.
Tanto per continuare con il giochino divisivo e spiacevole di distinguere le varie generazioni che si sono susseguite negli ultimi decenni, dopo i boomers nati tra il 1946 e il 1964 ci sarebbero quelli della Generazione X nati fino agli anni ’80, poi i Millennials nati fino al 1995 e, infine, la Generazione Z dei nati fino al 2010.
Tornando alle lamentazioni appare chiaro che non siano appannaggio solo delle nuove generazioni, visti alcuni coloriti detti popolari a proposito di chi piange e di chi ride.
Oggi i lamentatori si esibiscono principalmente attraverso i social network con video contrassegnati dall’acronimo POV (Point of view, punto di vista) girati simulando lo sguardo dello spettatore che viene invitato ad assumere il punto di vista dell’attore. Alzi la mano chi pensava che POV fosse l’abbreviazione di povero.
In campo musicale i generi rap e trap presentano testi sparati a tutta velocità che spesso contengono denunce e doglianze di vario genere: “Ho sempre immaginato una fine diversa/
Quando i soldi non bastavano per la spesa. Quando poi è morto il pa’ ho detto: sono un uomo/Anche se non mi son riuscito a tenere un lavoro.” (Ricchi per sempre, Sfera Ebbasta, 2018), tanto per fare un esempio, oppure: “Mio padre in fondo aveva anche ragione a dir che la pensione è davvero importante. Mia madre non aveva poi sbagliato a dir: “Un laureato conta più d’un cantante”. Alzi la mano chi ha riconosciuto “L’avvelenata” di Francesco Guccini datata 1976.
Proviamo a cambiare ambito e andare indietro nel tempo prendendo in esame alcuni testi: il famoso romanzo “Lamento di Portnoy” che Philip Roth ha scritto nel 1969, nel quale il protagonista racconta allo psicologo dei suoi rapporti con i genitori e la sorella, delle sue ossessioni, storie d’amore e di sesso e del suo rapporto con la religione; il Lamento di Ignazio Sanchez Mejias, valente torero spagnolo per il quale Garcia Lorca compose un testo colmo di cordoglio e commozione nel 1935; il libro delle Lamentazioni che il profeta Geremia concepì intorno al 585 a.C., nel quale si descrive il grande dolore causato per l’assedio e la distruzione di Gerusalemme ad opera di Nabucodonosor, re di Babilonia; il lamento di Achille per la morte di Patroclo e quello di Andromaca per la morte di Ettore, contenuti nell’Iliade attribuita a Omero e che risale al 750 a.C..
Si tratta di pochi esempi sulle migliaia che si potrebbero considerare prendendo in esame alcuni generi letterari, cinematografici e musicali per dimostrare che gli esseri umani hanno spesso provato empatia nei confronti di chi racconta un dolore o vive una condizione di difficoltà.
Quando il concorrente di un talent show condivide la propria storia personale prima di esibirsi è davvero difficile che venga eliminato al primo turno. Si cerca il coinvolgimento emotivo dei giudici e del pubblico televotante, ottenendo a volte dei risultati sorprendenti.
Sarebbe lecito chiedersi quali siano le differenze tra gli esempi del passato e i video POV degli youtuber e dei tiktoker ma, per farlo, bisognerebbe parlare del livello dei contenuti dei testi; del progressivo impoverimento del linguaggio e, in conseguenza, del pensiero; della semplificazione, superficialità, velocità e medietà di cui parlava Baricco nel suo saggio sulla mutazione “I barbari”, pubblicato nel 2006. In definitiva, bisognerebbe parlare di cose da boomer.