di Maura Messina
Il 10 febbraio a Montecitorio c’è un evento speciale al quale non si può mancare, si tratta di un convegno-spettacolo dal titolo: “Gli ultimi saranno”.
Un momento che arriva come chiusura di un percorso che ha unito artisti e detenuti nella ricerca più profonda del senso della vita e della possibilità di riscattarsi partendo da prospettive altre, attraverso la musica e l’arte.
Lo spettacolo, che vede la partecipazione di Raffaele Bruno, Enzo Luk Colursi, Massimo Blindur De Vita e Federica Palo, coinvolge in prima persona un artista napoletano che del concetto di “rifiuto” ha fatto la propria bandiera. Stiamo parlando di Maurizio Capone, frontman dei Bungt Bangt, da sempre impegnato nel sociale.
Abbiamo incontrato Maurizio Capone e ne abbiamo approfittato per chiedergli qualche informazione in più su quest’ultima avventura che lo ha visto macinare chilometri lungo la penisola italiana.
Qual è stata la tua prima esperienza con i detenuti?
Penso che la prima volta sia stata nel 1984, con la mia prima band “i 666” andammo a Nisida che allora era ancora un vero e proprio carcere e qualche giorno dopo ad Airola, un minitour che fu molto istruttivo ed ispirante.
In cosa consiste il progetto “Gli ultimi saranno”?
Gli Ultimi Saranno è un progetto artistico di integrazione tra noi che siamo abituati a stare sul palco ed i detenuti che vogliono partecipare allo spettacolo. Quando arriviamo nel carcere conosciamo i detenuti e li inseriamo nella nostra scaletta base amalgamandoli e collocandoli anche fisicamente sul palco con noi. La forza del nostro concerto è che si tratta di un happening, un momento comune ed unico nel quale la separazione tra noi ed i detenuti è completamente abbattuta. Questo crea moltissimi effetti positivi perché si sta tutti insieme e le emozioni si trasmettono in questo cerchio. Il fatto che i detenuti sono con noi sul palco fa sì che noi stessi siamo praticamente mischiati tra di loro, quindi ci troviamo in un luogo condiviso e questa è una grossa novità perché di solito ai concerti c’è una netta separazione tra pubblico ed artisti, specialmente nelle carceri, ma qui no, si sta veramente tutti insieme.
Cosa è cambiato nella tua vita dopo questa esperienza?
Come ti dicevo ho avuto tante e molto intense esperienze nelle carceri, ho fatto concerti, laboratori e workshop di grandissimo impatto emotivo. Ho maturato delle idee molto precise su chi va a finire in carcere e cosa rappresenti la vita in quel luogo. Questo già ha cambiato la mia vita nel corso degli passati trent’anni. In questo caso la vera novità è che il nostro è un contributo ideologico, non solo artistico, abbiamo idea di dimostrare che l’arte può essere molto utile alla rieducazione civile, il 90% dei detenuti che fanno attività artistiche una volta usciti non ritornano nel carcere, mentre per chi non lo fa è l’80% a tornarci. Detto questo non vorrei apparire superficiale rispetto alle emozioni di quest’ultimo periodo, non mi abituerò mai al patrimonio di umanità che ci viene trasmesso ogni volta che andiamo in un carcere. Sto conoscendo persone speciali tra i detenuti, tra gli operatori e tra gli artisti che ci vengono a trovare e questo contribuisce a darmi ulteriore consapevolezza e determinazione rispetto al contributo che ho sempre sognato di dare alla società.
A tal proposito so che vuoi fare un invito
Sì, stiamo per fare una cosa unica: andremo a suonare a Montecitorio!
Vi invito tutti, se avete voglia di venire l’ingresso è gratuito, basta accreditarsi seguendo le istruzioni da questo link: https://gliultimisaranno.it/gli-ultimi-saranno/convegno-spettacolo-de-gli-ultimi-saranno-a-montecitorio/
Ci saranno musicisti, rappresentanti delle istituzioni, attori e abitanti delle strutture carcerarie… è un’occasione per restare umani, non perdetela!