di Mirko Torre
Il mondo del lavoro oggi è quanto mai incerto, tra stipendi che spesso non raggiungono neanche il minimo salariale e un precariato che impazza tra i giovani. A questo problema così importante bisogna sommarne un altro che ormai viene trascinato da anni e che non accenna a trovare una risoluzione, quello delle pensioni. Oggi infatti, l’età minima per la pensione di vecchiaia ha raggiunto i 67 anni con almeno 20 anni di contributi, una soglia che nei prossimi anni è destinata ad aumentare a dismisura.
Se oggi stiamo discutendo così tanto dell’età pensionabile più o meno alta, è certamente per via di politiche e scelte sbagliate che nel corso degli anni hanno gravato sulle casse dell’INPS. Stiamo parlando precisamente del decreto sulle “baby-pensioni” del 1973, introdotto dal governo Rumor. Grazie a questo decreto molti lavoratori al di sotto dei 40 anni di età riuscirono ad andare in pensione e quasi 500mila persone continuano a percepirla dal 1981, a discapito di chi oggi per accedervi dovrà attendere quasi i settant’anni .
Quando il governo approvò quanto scritto sopra, non si pensava che avrebbe portato grandi problemi in futuro, anzi sembrava un qualcosa di “generoso” da parte dello Stato, che finalmente aveva dato ai lavoratori dell’epoca un motivo in più per sorridere. Nessuno però aveva fatto i conti con l’inevitabile “transizione demografica”, uno schema che permette di descrivere come una nazione possa passare da tassi di mortalità e natalità alti, a tassi molto bassi.
Grazie a questi studi infatti oggi possiamo sapere che negli anni antecedenti al decreto delle baby pensioni, vi erano quasi 8 giovani per ogni anziano e che di conseguenza le pensioni gravavano pochissimo sul reddito dei giovani, mentre oggi, con l’aumento anche dell’aspettativa di vita nel nostro paese che si attesta tra gli 80 e gli 85 anni, ci troviamo con poco più di 2 giovani per ogni anziano, con le pensioni che quindi pesano parecchio sugli stipendi sempre più bassi dei lavoratori.
La vicenda del decreto “baby pensioni” ci ha sicuramente insegnato che prima o poi lo stato, e soprattutto la popolazione dovrà inevitabilmente fare i conti con le politiche scellerate di governi passati, che andavano spesso e volentieri alla ricerca del consenso popolare, senza avere un occhio al futuro di milioni di persone.
La speranza è che il governo attuale impari dagli errori commessi decine di anni fa e faccia fede alle promesse fatte, tra cui quella di mettere in cima alla lista delle priorità una riforma pensionistica che possa assicurare ai giovani o a chi si è affacciato da poco nel mondo del lavoro, un assegno adeguato a fronte di carriere discontinue e stipendi bassi. Tra le priorità della prossima riforma (ancora purtroppo solo ipotetica) ci aspettiamo di trovare anche delle misure che tutelino le donne con figli e lavoratori fragili, oncologici e immunodepressi in particolare, che nel post-covid avranno la necessità di accedere alla pensione in via anticipata.