di Chiara Effuso
Ivano-Frankivs’k è una città di circa duecento mila abitanti situata nella parte occidentale dell’Ucraina. Ieri mattina, 27 febbraio, il cielo si presentava plumbeo e una densissima colonna di fumo si alzava dall’aeroporto.
«L’aeroporto ha iniziato a bruciare durante le prime ore della mattina, quando la guerra è cominciata. Questa è la vista dalla mia finestra», mi scrive Anastasia, che, con la sua famiglia è rimasta in città. «Stanotte la situazione è stata abbastanza tranquilla, sia qui che in altre città come Kyiv e Kharkiv, dove il fronte è più caldo. La notte è stata più facile». Facile è proprio la parola che Anastasia usa, come se fosse davvero semplice vivere (o sarebbe meglio dire sopravvivere) in una situazione così terribile. Ma forse il termine “easier” rende davvero l’idea di quanto stia avvenendo in Ucraina in queste ore.
«Le sirene hanno risuonato solo stamattina, ma ora tutto sembra più tranquillo», continua. Più facile, più tranquillo sono parole che suonano davvero assurde se associate al contesto di cui stiamo parlando. Gli abitanti di Ivano-Frankivs’k si sentono più tranquilli nel sentire l’allarme una volta sola, nel trascorrere una notte non invasi dalle bombe russe. Siamo al quinto giorno del conflitto, i cittadini ucraini che scappano verso i confini sono già più di trecento mila, secondo l’ONU. Ma è una stima solo provvisoria, le cifre sono destinate ad aumentare. Così come sono destinati a salire anche i numeri dei soldati e dei civili morti in battaglia. «Siamo grati a tutte le persone che ci stanno proteggendo», dice Anastasia. «È un incubo. Le mogli sono costrette a separarsi dai loro mariti, le madri lasciano i loro figli, le famiglie si distruggono: gli uomini devono andare in guerra. Non possono oltrepassare i confini né possono rimanere a casa.
A loro tocca combattere. Ma non sono soli. Ci sono anche molte donne che hanno deciso di imbracciare un’arma per difendere il proprio paese».
Anastasia ha un lavoro, ma naturalmente adesso è costretta a lavorare da casa. «Lavorare è meglio che guardare le news tutto il giorno, è un modo per distrarci e cercare di andare avanti in qualche modo».
È incredibile la forza di questa ragazza che, in realtà, mostra la forza di un popolo intero. Un popolo che resiste contro l’ingombrante invasore, che cammina verso i mezzi militari russi tentando di rallentare il loro ingresso in città, che si ritrova catapultato in un secolo creduto ormai
passato. «Sogno di viaggiare. Voglio scoprire nuovi libri e nuove culture, conoscere il mondo. Non appena tutto questo sarà finito, gli ucraini saranno dei turisti, e non più dei rifugiati. Non sappiamo cosa ci aspetta domani, ma crediamo nella giustizia e nella pace». Le parole di Anastasia sono toccanti, cariche di emozioni e piene di vita. Non si arrenderanno, ed è sicuramente per questo che l’esercito russo tarda ad avanzare.
«Abbiamo un grande impatto sui media internazionali, sentiamo il supporto dell’Europa intera. Dobbiamo restare uniti contro la propaganda russa e diffondere la verità, solo così potremo fermare questi crimini».
Nel frattempo, i negoziati di pace previsti per il 28 febbraio in Bielorussia si sono conclusi con un nulla di fatto, servirà un secondo incontro nei prossimi giorni. I delegati di Kyiv avevano chiesto un cessate il fuoco e la fine della guerra. Il governo russo ha evidentemente ritenuto irragionevoli tali richieste.
I cittadini ucraini si preparano ad una nuova notte di tensione e di terrore, nella speranza di trascorrere un’altra notte “easier”, e di potersi risvegliare domani in un posto più tranquillo, nonostante i bombardamenti stiano continuando sulle città di Kyiv e Kharkiv.
Anastasia sperava che i trattati portassero a qualcosa di buono, si augura di riavere indietro la sua vita il prima possibile, non mollerà e non lo faranno i suoi concittadini: «I know our people. We will rebuild everything, we will stand again».
Non ci arrenderemo. Ricostruiremo tutto. Ci rimetteremo di nuovo in piedi.