di Christian Sanna – Immagine di Enki Bilal
In un precedente articolo trattando il tema del desiderio scrissi che deriva dal latino “desiderium” il quale è composto da “de” e da “sidus” cioè “lontano dalla costellazione”. Pare che nell’antichità i naviganti si orientassero in alto mare osservando le costellazioni e quando queste non erano più visibili subentrasse in loro un certo smarrimento, un disagio.
Da qui un senso di vuoto e il dolore. La nostalgia intesa come dolore del ritorno. C’è una frase del più grande poeta americano di tutti i tempi che si può considerare una sorta di aforisma di sinestesia del tocco a specchio tattile, Whitman afferma: “Non chiedo alla persona ferita come si sente, io stesso divento la persona ferita”. Si tratta di eccessiva empatia? In breve, la sinestesia è un fenomeno sensoriale – percettivo in cui è possibile “vedere” un suono o “sentire” un colore e per sinestesia del tocco a specchio tattile si intende quella situazione in cui un medico sente il dolore dei malati o semplicemente una persona che sente il dolore degli altri come se fosse il proprio.
Spesso, quando proviamo a metterci nei panni degli altri o gli altri provano a mettersi nei nostri diciamo o ci sentiamo dire “capisco il tuo dolore”, ci sono individui che quel dolore lo sentono davvero e la vista di una persona che viene toccata o comunque colpita trasmette una sensazione tattile al punto che provoca dolore il solo veder infliggere dolore ad un altro.
Possiamo quindi dire che questo tipo di dolore è provocato dalla lontananza delle stelle; in fondo, alla fine di una storia, se uno dei due ama ancora prova lo stesso senso di vuoto e smarrimento dei naviganti in alto mare, e il dolore resta, almeno fino a quando si ama e si desidera ancora. Ma il dolore può diventare una specie di lasciapassare se a passare la frontiera dei sentimenti sono due anime affini nelle esperienze e nelle delusioni. Ricordo una poesia di Emily Elizabeth Dickinson “A un cuore in pezzi nessuno s’avvicini /senza l’alto privilegio/di aver sofferto altrettanto” e lo struggente testo di una canzone del professor Vecchioni “Ho conosciuto il dolore/era il figlio malato/la ragazza perduta all’orizzonte/il sogno strozzato/l’indifferenza del mondo alla fame, alla povertà, alla vita”.
Il dolore, questo tipo di dolore trattato può essere figlio della sensibilità e della conoscenza se già Erodoto affermava che “il dolore peggiore che un uomo può soffrire è avere comprensione su molte cose e potere su nessuna”. Così tutto diventa dolore: l’amore perduto, il canto delle sirene, il desiderio inappagato di felicità, la famiglia lontana, l’opera lirica, il romanzo, le fotografie di come eravamo, le istantanee di piccoli e preziosi rituali quotidiani che ci facevano stare bene.
Per Salvador Dalí “quando una persona guarda le stelle è come se volesse ritrovare la propria dimensione dispersa nell’universo”. Quel dolore che è anche il dolore di questo mio scritto riguarda una continua ricerca che non ha ancora portato ad alcun ritrovamento. Ma la partita non è finita e la missione non è fallita, il futuro è aperto, molto aperto. Dipende da te, me e da quei pianeti che devono trovare la voglia di allinearsi, al momento giusto, per noi.