Per evitare il rischio deflazione (prezzi in calo) la Banca Centrale Europea, ha portato, nell’area euro, i tassi ai minimi storici e organizzato il piano di acquisti di titoli di Stato (Qe).
Tuttavia l’allarme sembrerebbe rientrato se consideriamo l’andamento dell’indice dei prezzi al consumo nell’area euro che si è attestato intorno al 2%, considerato dall’Eurotower un buon traguardo. È ovvio quindi che con l’apertura dei mercati ci si attendesse una riduzione del Qe e quanto meno un rialzo dei tassi di interesse.
Dinanzi a questa aspettativa Mario Draghi, Presidente della Bce, ha ribadito che l’inflazione non costituirà elemento di variazione per l’attuale politica monetaria.
Ciò che invece ha suscitato interesse e ha dato uno “scossone” ai mercati sono state piuttosto le dichiarazioni rilasciate in conferenza stampa nei giorni scorsi dal Presidente Draghi il quale ha affermato che certamente non ci sarà alcun rialzo dei tassi e che al momento la Bce non ha “alcun senso di urgenza” nell’adottare nuove misure.
È in questo contesto che dobbiamo considerare l’aumento dell’euro-dollaro, che è passato da 1,055 dollari a 1,061. Stesso discorso per le vendite sui titoli di Stato. I titoli tedeschi hanno registrato un aumento del rendimento a 10 anni che ha superato lo 0,42% sui massimi da un mese e mezzo. Anche i nostri Btp a 10 anni hanno subito oscillazioni, passando da un minimo del 2,20% ad un massimo del 2,32%. Ecco perché salendo i tassi, gli spread sono rimasti pressoché fermi.
Il tema della politica monetaria sarà ancora oggetto di discussione , in attesa della pubblicazione delle statistiche sul mercato del lavoro statunitense. Infatti tali dati hanno sempre in qualche modo influenzato la Federal Reserve dalla quale ci sia aspetta un rialzo del costo del danaro. Cosa probabile al 90% se si considerano le quotazioni dei futures.